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Primavera 2020: Consapevolezza

Primavera 2020: Consapevolezza

di Ivano Nuti

Essere consapevoli è tanto grande quanto l’intelligenza umana. Conoscere, accettare il proprio limite, ingegnarsi per migliorarlo e rispettare il limite dell’altro è tanto importante quanto difficile.

Spesso capita di dare le parole per scontate. Ciò accade, in particolare, per i termini più comuni ed usati, ma ogni lemma ha una propria dignità e un significato più profondo di quello che appare a prima vista. 

Per comprendere l’origine della parola “consapevolezza” è necessario compiere un piccolo percorso, per certi versi, culinario! Dobbiamo, infatti, risalire al verbo latino sapĕre, per poi passare al il suo composto consipĕre ( cum+ sapere).

Sapio concretamente significa” aver sapore”, ” aver odore”, oltre che “gustare”, “sentire il sapore”, ma possiede anche il significato figurato di “essere saggio, prudente” e quello, per noi comune, di ” conoscere”, “sapere”. L’essenza del verbo “sapere” sta quindi nel “viaggio” tra questi due poli: in modo affascinante gli antichi ci suggeriscono che per conoscere è necessario “assaggiare”. Una metafora preziosa che ci indica come una cosa sia veramente conosciuta, quando si è in grado di comprenderne ogni aspetto, potremo dire di “coglierne il sapore”. 

L’aggettivo “consapevole” deriva dal composto consipĕre “avere esatta cognizione di sé”, “essere in sé” ed ha, pertanto, il significato di “persona che è informata di qualcosa”, o “che è cosciente di un fatto, una situazione etc.”. Il termine “consapevolezza” è formato dall’aggiunta a tale aggettivo del suffisso (-ezza-), ed indica propriamente il fatto di essere consapevole di qualcosa.

Adesso, con la primavera quasi al tramonto e l’estate alle porte si riparte. Tutti speriamo di riuscire a mettere fine alla paura del Covid-19. Da buoni italiani ci preoccupiamo del lavoro, della crisi economica e delle vacanze estive da non perdere. Siamo più portati alla critica sulle azioni istituzionali del governo che altro. Ci siamo sentiti protetti ma la paura ci fa pensare che avremmo dovuto avere di più. Forse cerchiamo di convincerci che “nel male e nel dolore, tutto sommato abbiamo tenuto botta”. Ma: – il virus, la paura, il dispiacere e l’impegno delle persone in prima linea, il distanziamento sociale che paradossalmente ha unito l’un con l’altro per cercare soluzioni per la salvezza ci ha fatto vivere momenti particolari, ha dato modo di ascoltarci. L’amore nelle mura domestiche, il calore della cucina, l’assenza di rumore, l’aria nitida, le strade libere e gli spazi riconquistati da animali selvatici che si riprendono la terra.

Tutto ciò fa riflettere: questa pandemia ci ha costretti a fermarci lasciandoci il tempo per pensare e acquisire consapevolezza che forse potrebbero esserci anche altri modi di rapportarsi al mondo circostante.

Curiamo il nostro ambiente e il nostro pianeta!

L’uomo pronto a tutto per cibare il proprio egoismo, è un animale fragile che il pianeta terra con un “virussino” ha fatto sentire piccolo piccolo. Da oggi, un domani più consapevole con la caratteristica umana di conoscere e sapere, potrebbe provare a non farci essere più proprio come ieri e ad andare alla scoperta di un “nuovo mondo, un nuovo pianeta terra, nel rispetto e insieme alla madre di tutti i tempi, la natura”.

Bibliografia:

Zingarelli N., Lo Zingarelli 2008. Vocabolario della Lingua Italiana, Bologna, 2007.

Nocentini A., L’ Etimologico, Ed Le Monier, 2010.

Castiglioni L., Mariotti S., IL. Vocabolario della Lingua Latina  (quarta edizione), 2007.

Ivano Nuti, Psicologo

Io resto a casa ma… fase 4

Io resto a casa ma...

la terapia anti COVID per l’edificio malato

FASE 4

di Egidio Raimondi

Lo slogan Io resto a casa ci offre l’occasione per chiederci quanto le nostre case siano vivibili e, perché no, sicure, visto che trascorriamo tra l’80 e il 90% della nostra vita in ambienti chiusi.

Queste pillole hanno l’intento di aiutare a valutare la qualità ambientale degli spazi in cui viviamo e migliorarli con piccole semplici azioni. Una piccola cura per ridurre alcuni dei sintomi dell’edificio malato che potrebbe richiedere terapie più importanti, radicali e impegnative, diciamo chirurgiche!

Pillola n.16 - L'oro blu (parte 1)

È ormai risaputo che l’acqua potabile è diventata una delle risorse più preziose nel mondo, perché la sua disponibilità sta diminuendo sempre più.
In questi giorni di pandemia poi, ci stiamo lavando le mani con frequenza e cura, seguendo le indicazioni degli esperti e allora forse è il caso di fare qualche riflessione.
Per preservare la risorsa acqua occorre agire su almeno tre piani, che affronteremo in tre pillole in sequenza: la riduzione dei consumi negli usi finali, il recupero delle acque meteoriche, il trattamento delle acque di scarico.

Per ridurre i consumi negli usi finali occorrono dei dispositivi tecnici e delle buone pratiche basate su profonde sensibilità socio-culturali.

I dispositivi che possono essere utilizzati sono i riduttori di flusso da applicare alle uscite dei rubinetti di casa, ufficio ecc… Ormai largamente disponibili in commercio per i rubinetti esistenti e già a bordo nei rubinetti di nuova produzione, almeno su quelli di buon livello qualitativo, non fanno altro che rompere il getto d’acqua, in modo da avere nella stessa sezione una quantità di aria. In pratica, a parità di sezione e di portata, si ha una parte di aria e una di acqua, con riduzioni intorno al 30% del consumo totale.

Alla fine dell’anno, se installati su tutti i rubinetti, si tratta di numerosi metri cubi in meno che, visti i costi applicati dalle aziende fornitrici, si traducono in un bel risparmio in fattura.

Le buone pratiche sono alla portata di tutti e consistono sostanzialmente nel tenere aperto il rubinetto solo quando necessario, chiudendolo quando non serve.

A mero titolo di esempio, basti pensare a quando ci laviamo i denti, ci insaponiamo sotto la doccia, ci radiamo… ma anche quando laviamo a mano le stoviglie, o le verdure, o nella pulizia degli ambienti.

Tipico è il caso in cui in attesa che arrivi l’acqua calda, si lascia scorrere quella fredda che è nella tubazione, dalla caldaia al rubinetto. In quel caso una buona pratica è raccoglierla in un secchio per poi utilizzarla per le pulizie o come scarico nel wc.

Pur sembrando cosa facile vi assicuro che non lo è, e distrattamente si tende a lasciar scorrere l’acqua indifferentemente durante le operazioni a cui accennavo, retaggio di una conquista tutto sommato recente, nel secolo scorso: l’acqua corrente nelle case!

Ovviamente, meno acqua si spreca e meno ne finisce negli scarichi, dove poi va depurata e smaltita, con operazioni che comunque hanno costi, diretti e indiretti. Ma questo lo vedremo nella prossima pillola.

Pillola n.17 - L'oro blu (parte 2)

Nella pillola precedente abbiamo parlato dell’importanza della riduzione degli sprechi di acqua potabile negli usi finali. Qui parliamo della raccolta delle acque meteoriche e del loro possibile utilizzo.
Innanzitutto va detto che occorre un impianto ben dimensionato per la situazione specifica perché bisogna fare attenzione a una serie di fattori determinanti.
I primi litri di acqua piovana, la cosiddetta acqua di prima pioggia, vanno  eliminati dato che contengono lo sporco delle superfici da cui sono stati raccolti (tetti, terrazzi, cortili, ecc…)

È preferibile raccogliere le acque da superfici in quota, evitando piazzali e aree carrabili, per l’evidente possibilità che nelle acque finiscano olii, idrocarburi, polveri di pneumatici e altri inquinanti.

Un impianto ben progettato prevede un filtro che trattiene materiali e scorie di media dimensione, come fogliame, cartacce o altro che il vento potrebbe aver portato sulle nostre superfici di raccolta.

A seconda dello spazio a disposizione e della quantità di acqua che stagionalmente si calcola di raccogliere, si dimensionerà la cisterna di accumulo, generalmente interrata, da cui poi, con una pompa, si preleverà l’acqua per vari usi che vedremo tra un attimo.

La cisterna dovrà essere dotata di un dispositivo di troppo pieno, per smaltire in fognatura l’eventuale acqua in eccesso, tipica situazione in epoca di bombe d’acqua, sempre più frequenti in epoca di cambiamenti climatici. A seconda dello schema idraulico, la cisterna potrà avere anche un dispositivo di troppo vuoto, che ne consentirà un parziale riempimento dall’acquedotto, in attesa di nuove piogge.

Il dimensionamento dell’impianto dovrà tener conto dell’equilibrio tra costi e benefici e soprattutto del fatto che l’acqua serve maggiormente in estate e le piogge sono concentrate in autunno e inverno.

Gli usi possibili per impiegare l’acqua meteorica raccolta sono tutti quelli non potabili come, ad esempio:

  • l’irrigazione di aree verdi, anche con impianto automatico
  • la pulizia degli ambienti interni e delle aree esterne
  • lo scarico dei WC attraverso una rete duale
  • il lavaggio di automezzi privati o di servizio in caso delle aziende

ogni altro uso per cui è vietato usare l’acqua prelevata dall’acquedotto o comunque oneroso e non sostenibile per l’ambiente.

Pillola n.18 - L'oro blu (parte 3)

Tutta l’acqua che viene utilizzata in un edificio finisce in uno scarico che la convoglia in un primo impianto di trattamento locale, e poi, attraverso la rete fognaria allo smaltimento comunale.

Il trattamento locale delle acque di scarico avviene innanzitutto separando quelle dei WC (acque nere) da quelle dei lavabi e lavandini (acque chiare) e dalle meteoriche. Questo perché così si riduce la quantità di acqua da sottoporre a trattamento “pesante”, riservando questo alle sole acque nere.

Il trattamento avviene nella fossa biologica, individuale o condominiale che separa i residui solidi trattenendoli e convoglia in fognatura i residui liquidi depurati.

È obbligo di legge installare un pozzetto degrassatore che intercetti le acque chiare trattenendo i residui saponosi in modo che questi non vadano in fognatura.

Per migliorare ulteriormente il trattamento delle acque di scarico, con vantaggi ambientali ed economici, è possibile separare ulteriormente le acque di lavatrice e lavapiatti da quelle dei lavandini, docce, bidet e lavelli, solitamente con contenuto inferiore di saponi creando così l’ulteriore categoria delle acque grigie.

Inutile dire che l’utilizzo di saponi privi di tensioattivi o componenti chimici aggressivi, così come la riduzione in genere dell’uso di detergenti, migliora le prestazioni di tutto l’impianto, riduce gli interventi di vuotatura e immette in fognatura acque meno inquinate.

Ovviamente non sempre esiste lo spazio e la morfologia strutturale dell’edificio per separare al meglio le acque, con tutte le tubazioni e i pozzetti che necessitano ma, caso per caso, possono essere studiate soluzioni specifiche.

Tra le soluzioni, ideali prevalentemente in aree extraurbane prive di rete fognaria, c’è la fitodepurazione, a cui dedicheremo una pillola specifica nei prossimi giorni.

Pillola n.19 - La Fitodepurazione

Si tratta di un sistema di trattamento delle acque di scarico che utilizza il fenomeno della digestione anaerobica delle piante per depurare e ottenere acqua con un contenuto di batteri sotto le soglie fissate dalla normativa, da poter riutilizzare o smaltire in ambiente.

Lo schema generale consiste in una rete di tubazioni forate che consente alle acque di attraversare un letto di ghiaia e inerti di varia granulometria, in vasche opportunamente dimensionate e isolate dal terreno mediante teli in polietilene, in cui vengono messe a dimora piante che prendono dalle acque i nutrienti per i loro processi vegetativi.

Tutto avviene sotto vari strati di ghiaia e pietrisco, il sistema si definisce infatti come sub-irrigazione, e non vi sono odori sgradevoli o ristagni d’acqua superficiale.

Fondamentalmente esistono due tipologie:

  • la sub-irrigazione orizzontale, in cui i tubi scorrono orizzontali, con la giusta pendenza
  • la sub-irrigazione verticale, in cui i tubi vengono disposti in verticale, secondo uno schema a maglia ortogonale

La prima richiede tempi più brevi per i processi di depurazione ma ha maggiorie ingombro sul terreno. La seconda occupa circa il 40% di spazio in meno ed è quindi più adatta quando si ha meno disponibilità di terreno.

In etrambi i casi, al termine dal processo può esserci un pozzetto di raccolta con una pompa per prelevare l’acqua in genere utilizzabile per irrigazione di aree alberate (anche frutteti) o, in alternativa, uno scarico verso un recettore naturale, come un fosso, ad esempio.

Devono sempre essere previsti dei pozzetti di prelievo delle acque, per i campioni da sottoporre ad analisi periodiche della carica batterica.

Conclusioni

Al termine di questa serie di pillole, che possono essere approfondite singolarmente, mi sento di fare un accorato invito a riflettere sulla qualità degli spazi in cui viviamo, per interrogarsi in merito al loro impatto sull’ambiente e sulla nostra salute, considerando che ormai dovremo convivere con i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse, gli eventi estremi e i virus pandemici.

La resilienza e d’obbligo!

Egidio Raimondi, Green Your Mood!

Io resto a casa ma… fase 3

Io resto a casa ma...

la terapia anti COVID per l’edificio malato

FASE 3

di Egidio Raimondi

Lo slogan Io resto a casa ci offre l’occasione per chiederci quanto le nostre case siano vivibili e, perché no, sicure, visto che trascorriamo tra l’80 e il 90% della nostra vita in ambienti chiusi.

Queste pillole hanno l’intento di aiutare a valutare la qualità ambientale degli spazi in cui viviamo e migliorarli con piccole semplici azioni. Una piccola cura per ridurre alcuni dei sintomi dell’edificio malato che potrebbe richiedere terapie più importanti, radicali e impegnative, diciamo chirurgiche!

Pillola n.13 - Agenti microbiologici

Il rischio biologico deriva dalla presenza in ambienti chiusi di microorganismi (funghi, batteri, virus, parassiti…), allergeni (acari e altri allergeni di origine animale e vegetale) e muffe.

I rischi per la salute sono classificati in tre livelli: allergico, tossico, infettivo e gli effetti possono manifestarsi in funzione delle condizioni fisiche e la suscettibilità di ciascun individuo.

La presenza di agenti microbiologici è possibile fonte di trasmissione di alcune malattie epidemiche (influenza, varicella, morbillo, polmonite, legionellosi ecc…

I microorganismi che possono essere presenti nell’aria ambiente sono:

  • batteri di origine ambientale appartenenti ai generi Bacillus o Micrococcus
  • batteri appartenenti ai generi Mycrobacterium
  • batteri gram-negativi aerobi del genere Legionella (la pneumophila è la più diffusa)
  • microorganismi del genere Staphylococcus, Candida, Clostridium
  • virus
  • endotossine e micotossine

I più comuni allergeni sono:

  • acari della polvere
  • derivati epidermici di animali domestici
  • scarafaggi
  • funghi o miceti

La presenza di funghi è associata a condizioni ambientali con elevata umidità relativa che favorisce il loro attecchimento e la loro proliferazione. Le muffe possono provenire da frutta e verdura mal conservate e annidarsi su carte da parati, tappeti, terriccio. Le principali conseguenza sono l’asma, la congiuntivite, le riniti, le dermatiti…

Infine negli ambienti chiusi possono penetrare dall’esterno, attraverso le finestre e/o gli impianti di ventilazione, i pollini soprattutto nelle stagioni con maggiore densità di efflorescenze.

Pillola n.14 - Pitture ecologiche… quelle vere

Da quando il tema dell’ecologia e della sostenibilità è entrato anche nell’edilizia, assistiamo al fenomeno dell’iper-informazione o della disinformazione dovuta a superficialità e semplificazioni, per non parlare della de-formazione ad opera di quelli che chiamo eco-furbi.

Uno dei settori in cui occorre fare chiarezza è quello delle pitture o vernici ecologiche.

Molto spesso si sente definire come ecologiche le vernici a “base acqua”, cioè che hanno come solvente l’acqua invece di altre sostanze chimiche a base poliuretanica o di idrocarburi come il toluene, il tricloroetilene, ecc….

Le vernici ad acqua sono quelle che hanno come solvente prevalente l’acqua (in genere tra il 40 e il 50%) ma contengono altri solventi chimici oltre ad ulteriori additivi antialga e antifungo. Pur non trattandosi dei solventi citati prima, che non possono essere usati perchè non idrosolubili, si tratta comunque di sostanze che possono essere nocive per la salute umana.

Si tratta in particolare della salute degli imbianchini che li maneggiano quotidianamente per tutto il giorno e nel corso di tutta la vita lavorativa ma, essendo i solventi altamente volatili per definizione, continuano ad essere emessi in ambiente anche dopo l’applicazione della vernice o della pittura murale. E quindi rimangono esposte anche le persone che frequentano e vivono l’ambiente, con intensità di emissioni maggiori all’inizio e poi, via via, sempre minori ma per un periodo abbastanza lungo.

Se si aggiunge il fatto che la tendenza del settore è produrre vernici che possano essere applicate anche da persone non esperte e non professionali, oltre al fatto che avendo come solvente prevalente l’acqua, non emanano i cattivi odori dei solventi “classici”, e non sempre si adottano le misure di protezione individuale, esponendosi a rischi diretti, compiendo un errore di sottovalutazione.

Ma esistono pitture e vernici veramente ecologiche? La risposta è sì.

Sono quelle che hanno come solvente composti di origine naturale come il terpene di agrumi.

Ormai sono tante le aziende, anche italiane, che producono linee interamente ecologiche e biocompatibili, che hanno emissioni VOC (Composti Organici Volatili) molto basse o ridotte a zero e i cui solventi rilasciati in ambiente lo rendono anche più profumato.

Inoltre le pitture ecologiche hanno come base la calce e garantiscono traspirabilità alle superfici trattate, condizione indispensabile per avere comfort e salubrità in ambiente.

Ultima annotazione, un prodotto di qualità ecologica garantita si distingue dagli altri per la trasparenza dell’etichetta, che riporta nel dettaglio tutti i componenti e la loro natura.

É una questione di trasparenza commerciale verso un consumatore che sempre di più ha il diritto di avere tutti gli elementi per poter fare le sue scelte. Tra questi elementi, oltre al prezzo, direi che la salute è di gran lunga il più importante.

Pillola n.15 - “Sentirsi” a casa

In questo periodo di autoisolamento domestico in cui praticamente tutti viviamo tra quattro mura, si notano più del solito alcuni deficit qualitativi come quelli in materia di isolamento acustico.
Si sentono infatti i rumori e spesso le voci dei nostri vicini, con intensità variabili in  funzione della qualità edilizia dell’ambiente in cui ci troviamo.
Sicuramente la sensibilità di tutti noi è aumentata negli anni e ci infastidiamo per rumori che fino a qualche anno fa non notavamo nemmeno, come il rumore degli scarichi che attraversano i nostri ambienti, all’interno dei muri.

Sicuramente in fase di lockdown siamo più sensibili perché sono aumentati i rumori interni, dovuti alla presenza di persone, e contemporaneamente azzerati i rumori di fondo esterni, come il traffico ecc…
Tutto ciò premesso, in tema di acustica negli ultimi anni c’è stato un proliferare di normative, con relativo aumento dei contenziosi civili da parte dei “disturbati” contro gli inquinatori acustici.

Che fare allora?

Quando si costruisce un edificio basta applicare le norme esistenti con la dovuta competenza e accortezza e il problema non si pone, ma quando si interviene su edifici esistenti la situazione si complica.

Se ad esempio volessi isolare il pavimento o il soffitto, posso applicare sistemi che trovo in commercio ma poi il suono mi si trasmette sulle altre strutture, essendo gli edifici realizzati con tecnologie “convenzionali” sostanzialmente monolitici.

Mi spiego meglio con un esempio. Se isolo la parete che confina con il mio vicino che ama sentire la musica ad alto volume, il suono mi si trasmette attraverso il solaio, che è un unico elemento monolitico, magari in cemento armato, e non posso ovviamente interromperlo o “tagliarlo”.

Se voglio invece isolare il pavimento, posso posare sotto di esso un materassino apposito ma devo fare attenzione a risvoltarlo sulle pareti perimetrali in modo da ottenere quel distacco a cui accennavo prima. In questo caso però devo avere l’accortezza di non far appoggiare il battiscopa sul pavimento, altrimenti ricreo quel ponte acustico che vanifica l’intervento e la spesa.

In altre parole bisogna essere consapevoli del fatto che intervenendo sull’esistente si potrà ottenere solo un risultato parziale.

È utile perciò adottare soluzioni che riguardano le modalità d’uso degli ambienti. Evitare ad esempio di disporre una camera da letto adiacente ad un soggiorno, tra appartamenti diversi, in modo da far coincidere gli orari di fruizione ed evitare di disturbarsi a vicenda.

Per svolgere attività rumorose, come suonare uno strumento ad esempio, scegliere fasce orarie in cui si sa che il vicino non è in casa e ambienti il più lontano possibile dall’appartamento confinante, e altre buone pratiche del genere.

In ultima analisi, se si vuole godere dei vantaggi di vivere in contesti urbanizzati e densamente abitati, si deve accettare qualche disagio dovuto alla prossimità e alla promiscuità. Diversamente non resta che andare a vivere in campagna.

Ovviamente, per situazioni di particolare disagio la soluzione più idonea è rivolgersi ad un professionista che possa studiarla e proporre soluzioni. Ma… un tecnico, non un legale!

Egidio Raimondi, Green Your Mood!

Io resto a casa ma… fase 2

Io resto a casa ma...

la terapia anti COVID per l’edificio malato

FASE 2

di Egidio Raimondi

Lo slogan Io resto a casa ci offre l’occasione per chiederci quanto le nostre case siano vivibili e, perché no, sicure, visto che trascorriamo tra l’80 e il 90% della nostra vita in ambienti chiusi.

Queste pillole hanno l’intento di aiutare a valutare la qualità ambientale degli spazi in cui viviamo e migliorarli con piccole semplici azioni. Una piccola cura per ridurre alcuni dei sintomi dell’edificio malato che potrebbe richiedere terapie più importanti, radicali e impegnative, diciamo chirurgiche!

Pillola n.7 - Materiali da costruzione

Fermo restando che sono importanti tutti i materiali con cui sono costruiti gli ambienti in cui viviamo, assumono particolare valore i materiali di finitura (le pitture, gli intonaci, i pavimenti, i trattamenti del legno come soffitti, porte e parquet, i rivestimenti, le colle, alcuni tessuti,…) perché sono quelli più a diretto contatto con le persone.

In particolare questi materiali contengono sostanze che ne rendono facile l’applicazione e ne aumentano le prestazioni in termini di durata e rapporto qualità/prezzo. Nella stragrande maggioranza dei casi queste sostanze (solventi, additivi, cariche, ecc…) sono prodotte da sintesi chimica in laboratorio e, siccome sono spesso altamente volatili, vengono rilasciate in ambiente in grande quantità durante l’applicazione e, via via più lentamente, nel corso della vita utile dell’edificio.

Si tratta dei VOC (Composti Organici Volatili) che, essendo di dimensioni ultrafini, possono penetrare direttamente nel nostro organismo creando danni anche molto gravi.

Delle possibili patologie parlerò nella prossima pillola intanto riporto un elenco sintetico dei VOC più diffusi nei nostri ambienti.

Idrocarburi alifatici (combustibili, detersivi, refrigeranti, cosmetici, aromatizzanti); Idrocarburi alogenati (pesticidi, refrigeranti, sgrassatori); Idrocarburi aromatici (vernici, pitture, colle, smalti, lacche, detersivi); Alcoli (detersivi, vernici, diluenti, adesivi, cosmetici); Aldeidi (fungicidi, isolanti, germicidi, resine, disinfettanti, pannelli in truciolato o altri semilavorati lignei).

Pillola n.8 - Effetti dei VOC sulla salute

Data la varietà dei Composti Organici Volatili che possiamo trovare in ambiente, non è facile individuare tutte le patologie in cui abbiano un ruolo diretto, anche in concomitanza con altri effetti di altra natura.

Ad oggi si sa che gli effetti sulla salute sono un’ampia gamma e vanno dal disagio sensoriale, alle allergie e ipersensibilità, fino a patologie molto gravi, per elevate concentrazioni, a carico del sistema nervoso centrale, fino ad arrivare alle patologie oncologiche.

Molti VOC sono riconosciuti come cancerogeni per l’uomo, come il benzene e i tri e tetra-cloroetileni, soprattutto a causa della lunga permanenza in abienti confinati (l’OMS parla di oltre l’80% della nostra vita).

Benchè molte normative impongano soglie di sicurezza alle emissioni di VOC, da certificare a carico del produttore all’atto dell’immissione in commercio, non mi stancherò mai di ripetere che nessuna norma potrà mai prevedere il cocktail di sostanze che ciascuno di noi metterà in ambiente quando realizzerà, arrederà e vivrà il suo spazio. Occorre quindi usare il buon senso, essere preparati e competenti e rivolgersi a professionisti e imprese altrettanto sensibili e competenti, senza mai dimenticare il principio di precauzione!

Pillola n.9 - Come ridurre l’esposizione ai VOC?

L’azione più importante ed efficace è scegliere con cura i materiali con cui si costruisce, ristruttura, rinnova la propria casa e gli altri spazi di vita al chiuso, affidandosi a progettisti e imprese idonei e competenti, inserendo tra i parametri di scelta quello della salute,. Sicuramente va ridimensionato il parametro dei costi, che nel caso dei materiali convenzionali non considera quelli indiretti, come ad esempio la mancanza di comfort, i costi sanitari, i costi ambientali per inquinamento ed eventi connessi con i cambiamenti climatici.

In particolare si raccomanda di:

  • ridurre al minimo sistemi che prevedano l’uso di colle prediligendo sistemi a secco (moquette, parquet, rivestimenti, strutture portanti e divorie degli spazi,
  • utilizzare vernici e pitture con solventi a base di terpene di agrumi o altre sostenze di origina naturale (le vernici all’acqua contengono sostanze antimuffa e funghicide,
  • garantire una corretta ventilazione degli ambienti, naturale o meccanica,
  • garantire la corretta manutenzione dell’impianto di riscaldamento e condizionamento , della cucina e altri dispositivi analoghi,
  • mantenere sempre in buona efficienza sistemi di tiraggio naturale come le canne fumarie di camini, stufe ecc,
  • mantenere temperatura e umidità ai giusti livelli,
  • non fumare negli ambienti chiusi, ridurre l’uso di prodotti per la pulizia a base di sostanze aggressive come candeggina, ammoniaca, ecc…preferendo l’alta temperatura in alternativa.

Pillola n.10 - Sistemi impiantistici: il riscaldamento.

Dato che negli ambienti chiusi l’aria è ricca di sostanze in sospensione, che possono venire in contatto con le persone, per inalazione o per contatto diretto con varie parti del corpo, è preferibile adottare sistemi per il riscaldamento e il raffrescamento che non siano basati sul fenomeno della convezione, proprio per limitare la circolazione dell’aria con tutto il suo carico di pulviscolo, batteri ecc…

I sistemi più efficaci sono quelli radianti, a pavimento parete o soffitto, perchè lavorano a bassa temperatura e quindi non cedono all’aria il calore che sarebbe necessario per renderla più leggera e quindi migrare verso il soffitto per poi, raffreddandosi, tornare più pesante e calare verso il pavimento, in quel movimento convettivo da evitare.

A mero titolo di esempio vi svelo che i “baffi” neri che appaiono in prossimità dei radiatori, o si formano negli angoli delle stanze, altro non sono che le polveri, spesso carbonizzate per l’alta temperatura dei radiatori stessi, che si depositano sulle superfici. Quelle che non si depositano le spazziamo via quando facciamo le pulizie oppure ce le ritroviamo nelle vie respiratorie.

Quindi, quando è possibile, il consiglio è di evitare i ventilconvettori (fan-coil) che hanno addirittura le ventole per aumentare la circolazione dell’aria, usare pure i radiatori ma aumentando il numero di elementi per tenere più bassa la temperatura dell’acqua che proviene dalla caldaia, preferire senz’altro il riscaldamento radiante a bassa temperatura, a pavimento o soffitto, con eventuale integrazione dei parti a parete, preferibilmente sulle pareti che danno verso l’esterno..

Pillola n.11 - Sistemi impiantistici: il condizionamento.

Gli impianti di condizionamento o raffrescamento, se non ben progettati, realizzati e manutenuti, possono nascondere numerose insidie per la salute di chi vive negli ambienti chiusi.

La sindrome più nota è dovuta al batterio della legionella, apparso per la prima volta nelle canalizzazioni che distribuiscono l’aria trattata negli uffici statunitensi, quelli in cui si divertono a passare i vari Bruce Willis, Tom Cruise & C. nelle loro missioni impossibili. Ebbene, in quei canali il batterio trova le sue condizioni ideali per temperatura e umidità dovuta alla condensa che si forma sulle pareti.

Inoltre intere colonie di microorganismi possono annidarsi e proliferare negli impianti in cui ci sia acqua stagnante come umidificatori, vaporizzatori, frigoriferi, impianti idrici, impianti solari termici…

Per quello che riguarda noi, per le tipologie di impianti diffuse alle nostre latitudini, oltre ad una corretta progettazione e realizzazione, è sufficiente preoccuparsi di:

  • pulire periodicamente i filtri dei dispositivi,
  • posizionare le prese d’aria esterna lontane da fonti inquinanti, come strade trafficate e/o altre sorgenti di emissioni nocive,
  • garantire che i fluidi degli impianti (aria o acqua) non rimangano a lungo fermi e stagnanti ma siano periodicamente tenuti in movimento.

Pillola n.12 - Processi di combustione

Molte attività svolte negli ambienti chiusi contribuiscono ad inquinarne l’aria. Tra questi ci sono processi di combustione come il fumo da sigaretta, il fuoco del caminetto, i fornelli del piano cottura, alcune stufe o altri sistemi per il riscaldamento degli ambienti…

Questi processi contribuiscono all’aumento della concentrazione di ossido e biossido di azoto (NO e NO2), anidride carbonica (CO2) e monossido di carbonio (CO).

In particolare il fumo di tabacco produce importanti concentrazioni di nicotina, sostanze irritanti, tossiche e cancerogene.

Negli ultimi tempi, data la diffusione di caminetti, caldaie e stufe a biomassa, è aumentato l’interesse della comunità scientifica per i fenomeni di inquinamento connessi, costituiti per lo più da monossido di carbonio, composti organici volatili (COV), particolato fine carbonioso (soot) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Leggi gli articoli della serie:

Egidio Raimondi, Green Your Mood!

pandemia evoluzione medicina

La Pandemia e l’Evoluzione della Medicina

La Pandemia e l'Evoluzione della Medicina

Com’è nata la ventilazione meccanica e la moderna Terapia Intensiva

di Armando Sarti

Nei tempi che stiamo vivendo della pandemia da Covid-19 tanti ormai conoscono parole come “ventilatori”, “assistenza respiratoria a pressione positiva” e “intubazione tracheale”, cioè alcune fra le tecniche fondamentali della moderna terapia intensiva. Ogni giorno si conta il numero dei ricoveri nei reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva, come parametro importante per seguire quanti pazienti hanno contratto l’infezione in modo grave e più in generale l’evoluzione della pandemia.  

La storia della medicina permette di ricordare com’è nato il concetto di terapia intensiva e, in seguito come si sono diffusi i reparti in grado di supportare le funzioni vitali dei malati, quali la respirazione e la circolazione del sangue, nell’attesa che i trattamenti medici e chirurgici concomitanti potessero permettere di guarire questi pazienti.

Nel corso dell’epidemia di poliomielite, alla metà del secolo scorso, Copenaghen si trovò al centro di un’area particolarmente colpita dal virus. Un numero impressionante di pazienti, in buona parte bambini e adolescenti, giungeva in ospedale in condizioni critiche perché l’infezione aveva attaccato la parte del sistema nervoso che collega il cervello al midollo spinale, compromettendo così la capacità di respirare a causa della paralisi muscolare.

All’epoca l’unico trattamento utilizzabile era il “polmone d’acciaio”, una tecnica che creando una pressione negativa all’esterno del torace lo espande facendo così entrare l’aria nei polmoni.

Il trattamento però non risultava molto efficace e comunque le unità disponibili erano molto scarse, mentre nell’Agosto del 1952, all’ospedale Blegdam di Copenhagen, arrivavano tante decine di pazienti con difficoltà respiratoria ogni giorno. Il personale medico e infermieristico, di gran lunga insufficiente per il numero dei ricoveri, si affannava nel prestare soccorso. La mortalità, per questi pazienti sfiorava il 90%.

Era in corso un’evidente sproporzione tra le necessità cliniche dei pazienti e la capacità di risposta sanitaria dell’ospedale, in particolare per i pazienti più gravi, esattamente come è avvenuto in varie città italiane nei giorni passati, e come è tuttora in corso nel mondo a causa del coronavirus.

A una riunione d’emergenza dell’ospedale Blegdam partecipò un anestesista, Bjørn Ibsen. Il giovane dottore danese, da poco rientrato da uno stage a Boston per specializzarsi presso un prestigioso centro medico statunitense, ebbe l’idea che avrebbe rivoluzionato il corso della pratica medica per i malati acuti.

Propose d’invertire il concetto del polmone d’acciaio e di pompare l’aria direttamente nei polmoni dei malati: la ventilazione a pressione positiva. All’epoca questa tecnica, mediante rudimentali apparecchi, era applicata per poco tempo solo durante gli interventi chirurgici più impegnativi.

Ibsen propose di ventilare i pazienti tramite un’incisione praticata nel collo fino alla trachea (tracheostomia) e una cannula che metteva in comunicazione le vie aeree del paziente con un pallone di gomma, compresso a mano e rifornito in continuo di aria e ossigeno.

Ibsen fortunatamente fu autorizzato a mettere in pratica la sua idea con le sue stesse mani e il giorno dopo, il 26 Agosto 1952, una ragazzina di 12 anni fu mantenuta in vita con questa tecnica.

La prima paziente fu così trattata con successo e la tecnica fu applicata subito a tutti i pazienti che non potevano respirare. Il problema era mettere due mani a disposizione per tanti malati e così fu organizzata in brevissimo tempo, in uno spazio dedicato, l’unità di terapia continua di ventilazione manuale, in turni di 6 ore, reclutando oltre ai medici disponibili, tutti gli studenti di medicina e di odontoiatria. In questo modo fu possibile assistere i tanti pazienti che non potevano respirare autonomamente. Gli studenti erano istruiti su quanto e con quale frequenza dovevano comprimere il pallone per portare l’aria nei polmoni dei malati.

La mortalità si ridusse in breve tempo, da quasi il 90% a meno di un terzo dei pazienti assistiti con questa tecnica manuale, in ambienti attrezzati specificamente per questa esigenza.

Era nata così la terapia intensiva, da una brillante e rischiosa idea di un giovane anestesista e dalla pronta risposta di un ospedale che nel suo insieme aveva reagito all’emergenza e riunito le idee e le forze, in stretta collaborazione, per guadagnare il tempo necessario alla risoluzione dell’infezione, assistendo così i pazienti che altrimenti sarebbero morti in breve tempo. Centinaia di pazienti furono salvati.

Fu un’intuizione geniale, che ha rivoluzionato il trattamento dei malati in condizioni critiche e instabili. Un esempio di ingegno e pronta reazione di fronte a una crisi di sistema. Era così possibile mantenere in vita i pazienti, del tutto coscienti, che non potevano respirare, in modo sicuro e prolungato nel tempo.

Proprio a Copenaghen, pochi mesi dopo, il Dr. Ibsen creò il primo reparto specializzato di Rianimazione e Terapia Intensiva. Oggi questi reparti, che necessitano di medici e infermieri formati in modo specifico e di una grande dotazione tecnologica, sono diffusi come sappiamo in tutto il mondo. Da una pratica utilizzata in sala operatoria la ventilazione meccanica è attualmente un trattamento essenziale ampiamente utilizzato nelle Terapie Intensive.

Le mani dei medici e studenti di Copenhagen furono rapidamente sostituite da macchine specificamente costruite per la ventilazione artificiale. Nel tempo sono state realizzate attrezzature per la ventilazione meccanica via via più sofisticate e adatte a supportare la respirazione in modo raffinato, seguendo le esigenze di ogni singolo malato che necessita di ventilazione assistita. I moderni ventilatori e i monitor delle funzioni vitali permettono di avvertire e registrare l’attività spontanea del paziente e di supportare l’immissione di aria e ossigeno nei polmoni con tante diverse modalità secondo le esigenze di ogni singolo malato.

Il 26 Agosto del 1952, il ‘Bjørn Ibsen day’, rappresenta così una pietra miliare della storia della medicina, che acquista una drammatica attualità proprio adesso, con il mondo intero che lotta con i letti disponibili di terapia intensiva per ventilare i polmoni dei pazienti più gravi.

Dalla storia al presente. Da questa pandemia dobbiamo necessariamente ricavare qualcosa di positivo per il futuro. I posti letto nelle Terapie Intensive e Subintensive, adeguatamente supportati da strumentazioni tecnologiche e personale formato, non devono essere ridotti per le ristrettezze economiche, ma al contrario incrementati, per far fronte ad esigenze improvvise. Un evento inaspettato, peraltro prevedibile dai veri esperti, non deve più trovarci così impreparati.

Più in generale riconosciamo che i servizi sanitari nazionali sono fondamentali per rispondere a pandemie come quella in atto, che, è bene ricordare, sono sempre possibili, possono ripetersi e sono più probabili nel mondo attuale, sovraffollato e facilmente collegato in poche ore da un capo all’altro.
Per sostenere il servizio sanitario nazionale non basta ringraziare pubblicamente e chiamare “eroi” gli operatori sanitari. C’è il rischio che finita l’emergenza tutto torni come prima. Si tratta di fare delle scelte, come individui e come paese, nell’allocazione delle risorse.

Non nascondiamoci dietro a un dito. Per noi Italiani in particolare vuol dire in primo luogo pagare le tasse e poi pretendere dalla politica un utilizzo appropriato del denaro pubblico. Tutti devono contribuire secondo le proprie possibilità, come dice la Costituzione della Repubblica.

Se niente cambia, con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei costi della medicina, non sarà più possibile garantire ad ogni persona, in un futuro vicino, le migliori possibilità di guarigione.

È anche indispensabile finanziare adeguatamente i necessari interventi di prevenzione, con i sani stili di vita, una maggiore attenzione al ripristino della qualità dell’ambiente e una corretta alimentazione. Campagne di promozione della salute, riducendo i costi dell’assistenza sanitaria e riabilitativa per le malattie croniche, permetterebbero di salvare tante vite umane e avrebbero anche una ricaduta sociale importante per il contenimento della spesa sanitaria.

Armando Sarti, Medico

già direttore, Dipartimento d’Emergenza e Terapia Intensiva Azienda Sanitaria di Firenze

Io resto a casa ma… fase 1

Io resto a casa ma...

la terapia anti COVID per l’edificio malato

FASE 1

di Egidio Raimondi

Lo slogan Io resto a casa ci offre l’occasione per chiederci quanto le nostre case siano vivibili e, perché no, sicure, visto che trascorriamo tra l’80 e il 90% della nostra vita in ambienti chiusi.

Queste pillole hanno l’intento di aiutare a valutare la qualità ambientale degli spazi in cui viviamo e migliorarli con piccole semplici azioni. Una piccola cura per ridurre alcuni dei sintomi dell’edificio malato che potrebbe richiedere terapie più importanti, radicali e impegnative, diciamo chirurgiche!

Pillola n.1 - Ricambio dell'aria

È importante garantire un buon ricambio d’aria in tutti gli ambienti, perché nei nostri edifici si producono e si annidano molte sostanze nocive che rendono l’aria spesso peggiore di quella esterna da cui ci si difende tenendo serrate le finestre.

come farlo ogni giorno correttamente?

  • aprire le finestre e le porte per non più di 10 minuti, in particolare in inverno, per non disperdere il calore;
  • aprire preferibilmente quelle su zone meno inquinate, ad esempio dal traffico, e non nelle ore di punta, meglio la mattina presto;
  • non aprire la porta del bagno dopo aver fatto la doccia, perché l’umidità potrebbe invadere le altre zone della casa;
  • aprire la finestra dopo aver fatto la doccia, perché è bene che il vapore fuoriesca unicamente da lì;
  • il tasso di umidità in casa non dovrebbe superare il 55% e potete tenerlo sotto controllo mediante un igrometro, se non avete già un impianto di climatizzazione che se ne occupa.

Pillola n.2 - Pulizia degli ambienti

Sembra paradossale ma la maggior parte dei prodotti di uso comune contengono sostanze chimiche nocive o pericolose che, liberate in ambiente, vengono in contatto con le persone per inalazione o per contatto diretto con mani e/o altre parti del corpo. Particolare attenzione va riservata ai soggetti più fragili, come i bambini, gli immunodepressi, gli anziani…

Quali sono i prodotti e le sostanze più pericolose presenti nei prodotti per la pulizia ?

Candeggina, Ammoniaca, Borace, Soda caustica, Acido muriatico, Formaldeide, Composti di ammonio quaternario, Etanoloammine, Toluene, Profumi e deodoranti per ambienti.

Quali sono i comportamenti corretti ?

  • prima di utilizzare i prodotti leggere attentamente le istruzioni e rispettare i dosaggi raccomandati, facendo attenzione ai simboli di pericolo sulle confezioni;
  • usare preferibilmente prodotti ecologici e bio compatibili, privi di sostanze chimiche nocive;
  • usare sistemi ad alta temperatura piuttosto che la chimica di sintesi;
  • usare acqua e sapone e/o alcool etilico al 75% e/o ipoclorito di sodio al 10%. Comunque usare guanti e dispositivi di protezione individuali;
  • non miscelare i prodotti per la pulizia, in particolare quelli contenenti candeggina e ammoniaca, con altri prodotti;
  • sia durante che dopo la pulizia o la sanificazione arieggiare adeguatamente gli ambienti.

Pillola n.3 - Elettrosmog

Nelle nostre case conviviamo con una lunga lista di dispositivi che emettono radiazioni elettromagnetiche: oltre agli smartphone e ai tablet abbiamo modem WiFi, telefoni cordless, forni a microonde, piani di cottura a induzione, rasoi elettrici, asciugacapelli…

Ognuno di essi ha emissioni conformi alle vigenti normative ma l’effetto dovuto all’uso combinato di essi non può essere previsto da alcuna legge e quindi è opportuno adottare alcuni accorgimenti.

  • dal forno a microonde (alta frequenza) le emissioni avvengono dalla parte frontale e quindi è opportuno non sostare davanti all’apparecchio in funzione e controllare che la chiusura e le guarnizioni siano in buono stato;
  • il piano cottura a induzione (media frequenza) funziona creando campi magnetici che vengono trasmessi al fondo delle pentole inducendo un effetto termico ma, una parte di queste radiazioni non viene assorbita dalle pentole e quindi è preferibile usare le piastre posteriori e tenersi ad una certa distanza dal piano cottura (almeno 10 cm);
  • l’intensità del campo magnetico si riduce con il quadrato della distanza e quindi per modem WiFi e telefoni cordless (alta frequenza) già ad un metro di distanza è più basso. É preferibile quindi non tenerli sul comodino e comunque tenerli lontani da zone in cui le persone sostano a lungo, e spegnere il modem di notte;
  • i telefoni cellulari (alta frequenza) vanno tenuti lontani dalla testa e quindi usare auricolari o viva voce, preferire una linea fissa se possibile, mettere in modalità aereo durante la notte o lasciarlo in un’altra stanza, evitare l’uso in auto perché nel chiuso dell’abitacolo si concentra una grande quantità di radiazioni, dato che il telefono deve utilizzare la massima potenza per rimanere agganciato alla linea.

Pillola n.4 - Virus e inquinamento

Molti hanno notato la corrispondenza tra le aree maggiormente colpite dal virus e i livelli di inquinamento dell’aria in quelle stesse aree. Il prof. Ernesto Burgio sostiene che, benché ad oggi non ci sia evidenza di una diretta correlazione tra inquinamento e virus, si può ipotizzare che esista un effetto sulle persone che contraggono il virus.

n pratica chi vive in quelle aree è soggetto da anni a fattori inquinanti importanti e si trova ad avere organi esposti, come i polmoni, a particolato ultrafine metalli pesanti e altri inquinanti, risultando più vulnerabili agli effetti del virus poiché presentano una reattività immuno-infiammatoria particolarmente alterata.

Insomma l’inquinamento non agisce sul virus ma sull’organismo che lo ospita.

Nelle immagini che ormai girano sul web si vede come sia migliorata l’aria nelle zone maggiormante colpite, anche in un solo giorno di lock down!

Pillola n.5 - Inquinanti indoor

Le sostanze che possono alterare in peggio la qualità dell’aria in ambienti chiusi sono numerosissime, spesso inaspettate e di varia natura.

Sostanzialmente possono essere di origine biologica, cioè legata agli occupanti  “viventi” dello spazio (persone, animali e piante), oppure di tipo strutturale legati ai materiali da costruzione con cui sono stati realizzati gli ambienti (finiture e impianti), o ancora legati all’uso degli ambienti, come nel caso dei processi di combustione per la cottura dei cibi, dei prodotti per le pulizie, dell’uso degli elettrodomestici o dei dispositivi elettronici per telecomunicazioni.

Cercherò di affrontarli singolarmente nelle pillole che seguono, in questi giorni, in modo che ciascuno possa sfruttare l’opportunità dello stare a casa per analizzare la propria situazione abitativa e valutare le opportune modifiche migliorative.

Pillola n.6 - Contaminanti di origine biologica

Il corpo umano e gli animali domestici possono emettere composti chimici, i bioeffluenti, che generalmente non raggiungono concentrazioni dannose per la salute. Ma il sovraffollamento, in assenza di adeguata ventilazione, può portare alla percezione sgradevole dell’aria e a concentrazioni di CO2 che ne peggiorano la qualità, rendendola “viziata”.

Altri contaminanti biologici derivano dalla desquamazione della pelle e dall’emissione di micro goccioline di saliva con il parlare, la respirazione, la tosse e lo starnuto… che rimangono sospese in aria per un certo tempo e possono veicolare agenti infettivi di varia tipologia. Anche gli animali domestici contribuiscono con perdita di pelo, forfora, saliva, urina…. oltre a tutto quello che raccolgono all’esterno e portano in casa, non avendo le scarpe!

Leggi gli articoli della serie:

Egidio Raimondi, Green Your Mood!

La Pandemia, ripartenza e speranza

La Pandemia

Ripartenza e speranza

di Armando Sarti

Da settimane reclusi a casa. Fra internet e ricette di cucina, telefono, WhatsApp e televisione per gli aggiornamenti dei contagi (come sarà andata oggi?), con qualche felice e prolungata sosta in terrazza. Siamo rimasti ordinatamente in fila nei pressi dei supermercati, con l’atteggiamento serio e compassato di chi è consapevole. Due chili in più, per i piaceri compensatori della tavola e la sedentarietà, nonostante qualche esercizio di ginnastica davanti al PC o alla TV. Qualche cane, da tempo abituato alla casa, che non scodinzola alla vista del guinzaglio, annoiato per le troppe richieste di passeggiatina da parte del padrone.

E ora? Si riparte con molta speranza, idee un po’ confuse. Per altri il dramma. Per chi non riesce a intravedere un futuro, per chi sta perdendo il lavoro o per chi non sa cosa fare per i propri dipendenti. Per tutti un po’ di paura, per la possibile nuova impennata dei contagi.

Comunque avanti con la ripresa, ma molte cose non saranno più come prima, almeno per parecchi mesi.

In questi due mesi molte considerazioni, varie sensazioni e riflessioni maturate sul divano, con tanto tempo a disposizione. Fra le tante, la domanda secondo me più importante: che cosa è successo? E soprattutto, qualcosa cambierà?

Che cosa è successo e cosa è cambiato?

Secondo me è cambiata soprattutto la nostra assurda sensazione di onnipotenza. Il ridimensionamento e l’accettazione della nostra fragilità. Un mondo “virato”. Abbiamo dato troppo per scontato. Ci siamo ritrovati improvvisamente piccoli, impauriti e perplessi di fronte a un minuscolo virus, trasmesso da animali selvaggi senza più patria, che ci ha messo in ginocchio. Ha causato tante morti, spesso senza neanche poter confortare i nostri cari, ha fatto traballare tragicamente i nostri sistemi sanitari e ha messo in crisi, di colpo, la globalizzazione e le economie dell’intero pianeta. Tanto dolore, per chi ha perso una persona cara e per chi è morto nell’inevitabile confusione di un letto d’ospedale o rimanendo a casa propria.
Ma anche una quantità sconcertante di esseri umani che si ritrova improvvisamente senza un lavoro e senza una prospettiva di vita accettabile.

Per i più fortunati un riposo forzato e casalingo nel corso di questa primavera piena di sole, come non si vedeva da anni. Uno stacco brutale dalle proprie abitudini, dall’affetto dei propri cari, dalle passeggiate all’aria aperta, dai contatti sociali e culturali, dagli aperitivi e le cene in pizzeria o al ristorante, dalle giornate passate nei centri commerciali. Niente palestra e sauna. Sfollati in casa. Fra presunti complotti, bollettini quotidiani, notizie continue, opinioni di ogni tipo e fake news, ne abbiamo sentite di tutti i colori.
Bisogna dire che nell’insieme gli Italiani sono stati all’altezza. Non è mancato il rispetto per le tante limitazioni, forse proprio perché lo “tsunami” mediatico ci ha fatto sentire uniti da un destino comune, che in parte dipendeva proprio dal nostro comportamento. Reclusi, ma anche un po’protagonisti.

Questo virus ci ha forzato a pensare e ripensare. Ci ha obbligato a rivedere l’ordine delle priorità, cosa conta davvero, le proprie risorse interiori, ci ha messo un po’ a nudo e ha quindi rappresentato anche un vero e proprio test su noi stessi con la macchina della verità.

Dentro di noi, anche senza essere catastrofisti, è impossibile non avvertire che il virus sia stato in qualche modo un grido d’allarme, come una ribellione verso gli umani. Abbiamo maledetto la Terra. Percepiamo una sorta di reazione della natura, costantemente attaccata da comportamenti lontani dal senso più profondo della vita su questo pianeta.  Tra cinico egoismo, corruzione diffusa, deforestazione, inquinamento delle menti e dell’ambiente, stili di vita assurdi e deleteri, un’economia basata sul profitto di pochi a danno di molti e sfruttamento delle risorse, sempre più limitate, del pianeta. Come se non esistesse un futuro, come se non avessimo il dovere di consegnare ai nostri figli un mondo ancora vivibile.

C’è stato imposto uno stop alla frenesia, alla bramosia del superfluo, ai troppi viaggi fatti per non fermarci a pensare, allo stress che contraddistingue le nostre giornate con la necessità, spesso indotta, di avere e fare sempre di più.
Molti scienziati, forti di dati inoppugnabili, mettono in stretta correlazione l’inquinamento, la cattiva alimentazione, il riscaldamento globale, il cambiamento climatico e la devastazione dell’ambiente con l’insorgenza e la diffusione di nuove epidemie, soprattutto di virus, per i quali spesso non abbiamo armi di difesa efficaci.
La biodiversità è pesantemente ridotta e sappiamo che la varietà è salute per la natura. Gli animali selvatici non hanno più spazio per vivere, abbiamo stravolto il loro habitat e lo riduciamo sempre di più per coltivare soia e mais, mentre quelli allevati in modo forzato con l’agricoltura chimica sono in pessime condizioni di salute, creando così le condizioni favorevoli perché la fauna diventi veicolo della trasmissione di virus, che altrimenti non attaccherebbero facilmente gli umani.

Inoltre, le precarie condizioni di salute di tanta parte della popolazione, prevenibili in buona parte con una sana alimentazione e con stili di vita adeguati, risultano cruciali per la diffusione delle epidemie e spesso si associano al pesante inquinamento atmosferico delle nostre metropoli, che facilita con i veleni nell’aria e le polveri sottili le infezioni respiratorie e gli esiti più gravi delle malattie diffusibili.

Il rischio del diffondersi di gravi epidemie, ancora più concreto nel mondo attuale globalizzato, era stato peraltro previsto da tempo. Dopo i focolai di epidemia dal virus della SARS molti scienziati avevano evidenziato con dati alla mano quanto il rischio di ulteriori epidemie, in particolare di coronavirus, fosse concreto e come avremmo dovuto prepararci per fronteggiare la diffusione planetaria di infezioni virali.

Nel 2014 l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, partendo dai dati relativi alle epidemie del virus influenzale H1N1 e delle aree africane colpite dal virus Ebola, aveva chiarito perché servivano più fondi per la Sanità, “…per prepararsi di fronte al rischio di una malattia trasmissibile per via aerea che si rivelerà anche mortale…” Osservando come sono andate le cose, l’ammonimento, profetico possiamo dire oggi, rivolto non solo agli USA, ma al mondo intero, non sembra proprio che sia stato recepito.

Solo i sistemi sanitari nazionali, che hanno il benessere di tutti e non il profitto di pochi come stella polare, possono garantire quell’insieme di interventi di prevenzione e cura in rete, anche e soprattutto a livello territoriale oltre che ospedaliero, necessari per fronteggiare le crisi sanitarie. Sono da sostenere e rafforzare, certamente da migliorare, ma non certo da ridimensionare.

Ci voleva questo virus per capirlo? Era proprio necessario il virus per fermarci e riflettere?

Che cosa cambierà?

Di sicuro dovremo abituarci alle code e alle mascherine, almeno per un po’ di tempo. Scordiamoci anche, per ora, di poter andare tranquillamente a teatro o al cinema o in uno stadio per un concerto di musica o un avvenimento sportivo.
Si spera che le politiche messe in atto per sostenere l’economia del nostro paese possano sostenere, per il tempo necessario, quelle attività produttive e sociali, come quelle culturali, il turismo e la ristorazione, che senza un aiuto concreto potrebbero non riprendersi mai più, con la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Si vedrà anche se l’Europa saprà rilanciarsi, superando egoismi di corto respiro, per far fronte alle ripercussioni economiche e sociali nel vecchio continente.
Cosa dovrebbe o potrà cambiare è in realtà più una speranza che una certezza.

Si parla di ritorno progressivo alla normalità. Sì, ma quale normalità? Vogliamo mettere a fuoco un modo diverso di concepire il nostro normale stile di vita?

Ad ogni livello, istituzionale, sociale, politico e personale non possiamo perdere l’occasione per una profonda revisione del nostro modo di vivere e di lavorare.

L’atmosfera più pulita ci permette oggi di vedere il pianeta, dall’alto dei satelliti, più nitido e a fuoco, come non lo si vedeva da decenni. Dovremmo prenderlo come un incoraggiamento e, con la rinnovata acuità visiva, reagire con uno scatto di dignità. C’è bisogno dell’impegno di tutti, ad ogni livello e in ogni modo.

Lasciamoci dietro tanti aspetti della normalità di prima. Lasciamoci dietro il consumismo inutile, l’eccesso di spostamenti non necessari, sostituiamo il più possibile l’automobile con la bicicletta, riscopriamo il piacere di camminare, mettiamo in atto una rivoluzione del nostro modo di alimentarci, riducendo drasticamente il consumo di alimenti industriali nocivi, carne e prodotti animali, poco sostenibili per il futuro del mondo, a favore dei vegetali, cereali, legumi, verdure, ortaggi e pesca sostenibile. Con una forte riduzione dell’allevamento animale forzato, a base di soia e mais, potremmo avere cibo disponibile per tutti nel mondo. Mangiamo di meno, ma in modo più salutare. Riassaporiamo il gusto vero della vita.
Evitiamo accuratamente ogni spreco.

Con il nostro comportamento, individuale e condiviso, se associato a politiche ecologiche da parte delle istituzioni nazionali e internazionali, possiamo davvero invertire la tendenza verso il punto di non ritorno. La nostra Terra non può più essere una mucca da mungere sempre più, nell’interesse di pochi, fino allo sfinimento. Bisogna imparare ad accontentarsi di quello che è davvero indispensabile per il benessere proprio e di tutti.

Il potere della nostra bocca è enorme, se scegliamo in tanti cosa metterci dentro. Come grande è la nostra potenziale capacità di riorientare l’economia con acquisti oculati, a tutto vantaggio dell’impresa etica e sana, ridimensionando nel tempo il potere brutale e cinico delle multinazionali che hanno il profitto come unico faro, a scapito del benessere di tutti. Un rallentamento controllato dell’economia dei prodotti interni lordi, a favore di un’economia sostenibile, quella del benessere, della giustizia sociale e della felicità degli esseri umani.

Nessuno pensa a una rinuncia alla tecnologia, soprattutto a quella davvero utile per l’umanità. Non certo un ritorno allo “stato di natura” di Rousseau, il mito del buon selvaggio, ma una progressiva ripresa dei valori che in questo mondo sono alla base di una vita il più possibile in armonia, che tenga conto del bene e delle esigenze di tutti e non della convenienza miope di pochi. Una spirale favorevole di etica, personale e sociale, che riduca le ingiustizie, l’elemento essenziale alla base delle oppressioni, delle migrazioni e dei conflitti.

Una profonda riflessione e riorganizzazione a livello individuale, sociale e istituzionale.

Portiamo a casa qualcosa di buono da questa esperienza, ancora in corso, che ha dato una scossa alle nostre vite. In questo senso questa ripartenza dopo la pandemia può rivelarsi un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. Un Neo-Umanesimo che riporti al centro la bellezza, l’arte e l’elemento spirituale della vita, il bene e l’amore per sé stessi e per il prossimo.

Oppure non cambiamo niente, stiamo seduti e aspettiamo tranquilli il prossimo virus.

Armando Sarti, Medico

Stop and Go – Equilibrio e Movimento… una proposta

Stop and Go – Equilibrio e Movimento…

... una proposta

di Ivano Nuti

“Stop and go”. Così sembrava. “tutti fermi è arrivato Covid -19”, ma pronti a ripartire più veloci ed eccitati di prima. E invece…

Ormai tutti siamo consapevoli che il problema è enorme, che mentre il pianeta con il suo mondo di aria di acqua di terra di piante di animali sviluppa il suo “trantran” e le sue orbite, l’essere vivente uomo è ai box. Potremmo vederla anche così per riflettere un po’ sul passato e sul presente.

In questo momento le preoccupazioni aumentano in noi, ci sentiamo fragili, proviamo a cercare dei riferimenti ma non li troviamo. Ascoltiamo solo bollettini di contagi, di guarigioni, di morte e di eroi. Siamo obbligati. Tutto sembra essersi fermato. Tutto tranne il tempo, tutto tranne la corsa di chi, contagiato, improvvisamente pensa la morte, la paura che incute e l’egoismo della vita per allontanarla. Chi politicamente ci governa ha la “briga” di scegliere e decidere nel bene e nel male, il resto della popolazione l’obbligo di obbedire.

In questa grave, allarmante situazione ognuno in casa sua si sente protagonista di un mondo di pochi metri quadri. E qui, fra le mura domestiche che ognuno sente in questo momento l’impossibilità della sua realizzazione.  Passano le settimane, c’è chi lavora con lo smart working, chi ha ridipinto casa, chi ha trasformato il giardino, chi ha oltrepassato il muro dei ricordi riordinando garage e cantina, chi ha cucinato di tutto di più e molto altro ancora. Poi la domenica delle Palme, Pasqua, pasquetta e la speranza del primo maggio. Tutti con la voglia di gita fuori porta e di mare ma questa volta non si può trasgredire. Attenzione al COVID.  È più di un mese che manca il Bar, mancano gli aperitivi e tutti ci chiediamo se quest’estate potremo andare al mare. Ci vediamo sui “social” e con le video chiamate…nel mentre c’è chi non vede l’ora di avere una lampadina bruciata per uscire una volta di più e andare a ricomprarla armato di mascherina e guanti. Purtroppo a tutto ciò per ora non ci sono risposte valide. Una conseguenza della situazione per qualcuno potrebbe essere uno stato depresso nel quale ci ritroviamo senza accorgercene. Non possiamo permettercelo. Proponiamo qui un piccolo percorso di “auto aiuto”. Per facilitare il compito stabiliamo che la parola che raggruppa tutti i quesiti di questa “infinita e improvvisa situazione di vita” è ansia.

IO e ANSIA

Per dare una dimensione, proviamo a immaginare l’ansia come il contenitore delle paure, da quelle domestiche a quelle generate da ogni altro tipo di stress sia da lavoro, da competizione, da amore, da malattia e così via.

In questo periodo è facile definirci impauriti, ma se ci ascoltiamo più profondamente ci accorgiamo che questa sensazione di “paura” in forma latente per molti è una compagnia da tanto tempo. È anche vero che “avere paura” è un diritto di tutti in quanto emozione e quindi impulso spontaneo davanti ad uno stato delle cose.

Del contenitore ansia possiamo dire che è un insieme e quando o è troppo “pieno” o non è sotto controllo, da esso partono risposte fisiologiche, comportamentali e psicologiche.  Uno stato di ansia è uno stato di depressione o di agitazione farcito, come abbiamo detto da sentimenti di “stress per”.
Se ci pensiamo è chiaro che ognuno di noi non può fare a meno di un po’ di ansia. Ansia che si instaura in base e relativamente al tipo di individuo e a come percepisce una gamma di situazioni pericolose o dannose per sé stesso. In tali situazioni si generano, si manifestano livelli emotivi di attivazione elevati, spesso causa di grande dispendio di energie e di malessere diffuso.

È importante (per alcuni è naturale per altri un po’ più difficile) imparare a gestire, a contenere l’attivazione di queste situazioni essendo esse spesso compagne di vita per ogni individuo. Fanno parte del “tratto” che raffigura l’individuo con le sue particolarità di approccio e comportamento agli eventi sociali e al modo di essere e pensare. Altro caso è l’ansia per uno stato emotivo temporaneo. Così detta “ansia di stato” che fluttua nel tempo e che esprime la tendenza per la persona a diventare ansiosa in situazioni specifiche. Ma questo secondo caso potrebbe influenzare notevolmente il caso precedente che chiamiamo “ansia di tratto” cioè riferita all’individuo stesso. 

Comunque l’una è interveniente sull’altra e ambedue sono a discapito dell’equilibrio della persona generando nei casi più elevati veri e propri disturbi sia fisiologici, comportamentali che psicologici. Per fortuna tutto ciò non riguarda la maggioranza delle persone ma sempre meglio conoscere che….

In letteratura ci sono vari e validi “training” per imparare a gestire l’ansia, a rilassarsi o a concentrarsi. Volendo ognuno può sbizzarrirsi con training autogeni, yoga, modelli di mindfulness o altre pratiche di meditazione e altro ancora. In questo articolo proviamo a spiegare un modo sintetico e veloce ricavato dal lavoro con atleti (i quali spesso si trovano in situazioni dove l’ansia è il primo vero grande avversario) per rilassarsi e concentrarsi dissociando tutto ciò che non fa parte dell’obiettivo richiesto.

La difficoltà di percorso è non essere insieme e quindi non poter guidare l’esercizio direttamente. Ma proviamo ad essere dei bravi auto didatti.

Proponiamo tre schede, prima di tutto da leggere e rileggere attentamente così da imparare i vari passaggi per l’esercizio.  Fatto questo cerchiamo di ripetere più volte gli esercizi secondo le istruzioni in modo da assimilare bene la pratica da mettere in gioco.

Parere: anche se a leggere sembrerà semplice non facciamo come spesso accade di volere “tutto e subito” passando immediatamente alla scheda tre. È un errore e l’esercizio risulterà inutile in ogni sua parte.

scheda 1

1.1) Davanti alla finestra, guardando fuori dedicare un minuto a massaggiarsi l’esterno del proprio volto con tenerezza. accarezziamolo pressiamo leggermente le guance, scorriamo le dita su e giù per il naso seguitando fino alla fine delle sopracciglia, allarghiamo con i polpastrelli dei pollici leggermente le narici…insomma coccoliamo un po’ questo importante volto, protagonista della nostra immagine.

1.2) sempre davanti alla finestra continuiamo ad accarezzarci a braccia incrociate prima le spalle e poi il petto per 20 secondi circa.

1.3) Dopodiché iniziamo a respirare un po’ forzatamente cercando di ascoltare e sentire l’aria che entra dalle narici a ritmi regolari, cerchiamo di distaccarci da tutto, concentriamoci sul respiro e proviamo ad abbracciare il nostro respiro che attraverso le narici invade il nostro torace. Concentriamoci! Fermiamo le sensazioni e a lavoro finito, dopo due minuti (e sono lunghi due minuti), annotiamo le sensazioni vere…anche se sembrano di poco conto.

1.4) Dopo una pausa di due minuti ripetiamo l’esercizio (punto 1.3). Concentrati, adesso cerchiamo di inspirare aria provando a spingerla alla parte bassa del torace fino nella pancia. Molta aria. Tratteniamo qualche secondo il respiro e poi espiriamo con abbastanza forza (ripetiamo per 10/12 volte con calma).

In questa fase cerchiamo di concentrarci sul ciclo completo: inspirazione (ascolto l’aria per le narici) trattenimento aria (ascolto il torace) espirazione aria (ascolto la capacità dei miei polmoni). Vedremo che esercizio dopo esercizio troveremo un gran bel ritmo e pian piano inizieremo anche a guardarci dentro immaginandoci il flusso dell’aria dentro di noi.

scheda 2

Concentriamoci ognuno a capire la postura esatta per gli esercizi. All’inizio avremo qualche dubbio ma poi pian piano riusciremo ad assestarci.

Nella fase 1) abbiamo approcciato la respirazione e abbiamo potuto ascoltare che “macchina potente” è l’apparato respiratorio. Adesso proviamo ad ascoltare la “potente macchina” che è il cuore con il suo sistema circolatorio.

2.1) Mettiamoci comodamente sdraiati in terra su di un tappetino e un finissimo guancialino sotto la nuca. In tuta, senza scarpe, con i glutei ben poggiati in terra così come le spalle, con le braccia lungo il tronco e le gambe ben distese e leggermente divaricate (in questa posizione le mani non dovrebbero entrare o quasi sotto il fondo schiena prima dei glutei).

2.2) Nella posizione (2.1) portiamo le mani al volto e con delicatezza accarezziamoci il naso, le palpebre, le tempie, le labbra e le orecchie. Poi con gli occhi chiusi (e devono restare chiusi!) soffermiamoci con i polpastrelli dell’indice sulle palpebre e massaggiamole in modo concentrico per qualche secondo cercando di concentrarci sui giochi di luce dei propri occhi. Ora senza riaprire gli occhi portiamo le braccia di nuovo lungo il tronco, teniamo la mente vuota e prima di proseguire con l’esercizio, ascoltiamoci un attimo. Eventualmente ripetere le fasi 2.1 e 2.2 fino a che non ci sentiamo tranquilli e comodi nella posizione indicata.

Adesso viene la fase più difficile dove tutto deve essere in sincronia:

2.3) Siamo comodi (2.1, 2.2) ad occhi chiusi ci concentriamo nell’ascolto del cuore.

2.4) Dopo qualche secondo (20), iniziamo ad inspirare aria con le narici mettendo in moto tutta la “propria potente macchina respiratoria”. Inspiriamo più aria possibile e tratteniamola dentro di noi almeno 20 secondi spingendola nella parte più bassa dell’addome come fase (1.4).

Durante questa operazione, con lo stesso tempo dell’inspirazione avremo gradualmente chiuso i pugni e tirato i muscoli delle braccia il più possibile. Stesso e simultaneo procedimento con le cosce e le gambe tenendo i piedi a martello.

2.5) Ora, senza perdere la posizione (2.4) Concentrati! trattenendo respiro e tensione ascoltiamo il proprio cuore che pian piano si farà sentire nitido dentro di noi. Dopo circa 20/30 secondi espiriamo il più forte possibile l’aria cercando di vuotare il torace e sincronicamente rilasciamo la forza sia delle braccia che delle gambe. Sempre ascoltando il proprio cuore aspettiamo circa 45 secondi e ripetiamo l’esercizio dalla fase (2.3). In tutto per tre volte con pausa di 45 secondi di volta in volta.

2.6) Rilassati, restiamo sdraiati qualche minuto (2 circa) lasciando che il proprio corpo, la propria mente si abbandonino alle sensazioni e all’immaginazione. A fine lavoro annotare i propri stati d’animo.

Ripetere questo protocollo per tre giorni (durata massima 20 minuti).

scheda 3

Abbiamo fatto pratica con la nostra “potente macchina vitale” abbiamo ascoltato il respiro, il flusso e il “rimbombare” del cuore, la forza nei muscoli irrorati dalla spinta del cuore, ma anche la forza delle emozioni e della mente che ci permettono di coordinare il tutto (per capirci tutti e per capirci meglio lasciatemi passare qualche termine non esatto ma forse più comprensibile).

3.1) Procediamo come nella posizione della scheda 2 ma in un ambiente di penombra, silenzioso con una leggera musica rilassante di sottofondo.

3.2) Oramai siamo esperti, abbiamo provato e riprovato. Concentrati, impariamo molto velocemente, con tre respiri completi e tensione muscolare (come scheda 2), ad abbandonarsi ad occhi chiusi come in (2.6). 

3.3) Concentrati, rilassati e con la mente vuota ascoltiamoci dentro, sentiamo in noi la nostra forza, la nostra energia (non dimentichiamoci che siamo “una macchina potente”), sentiamoci centrati su noi stessi, consapevoli delle nostre capacità. Durata (1/2) minuti circa. ripetere questa scheda fino a che non ci sentiamo padroni dell’esercizio. Ci vuole un po’ di allenamentoo!! Qualche giorno una o due volte al dì.

Bene ora è il momento di guardarci dentro, di provare a concentrarci in un percorso auto induttivo di suggestione con noi stessi. se siamo stati bravi con un po’ di esercizio ci riusciremo.

3.4) Nella nostra posizione con un grosso respiro e la tensione muscolare (come da scheda 2) trattenere l’aria e la tensione muscolare più possibile (insistere un po’ prima di rilasciare) e poi abbandoniamoci ad occhi chiusi concentrandoci solo sui giochi di bianco e nero o di colore sotto le nostre palpebre.

3.5) Adesso stiamo iniziando a dipingere, il nostro dipinto interiore. Andiamo dove l’immaginazione e la visualizzazione interna ci portano, fra colori e natura.

Dipinto interiore che, potrà essere arricchito nel tempo. Una volta imparato a dipingere (ci vuole un po’ di esercizio), ogni qualvolta sentiremo il bisogno di dirci due paroline invece di lasciare spazio a quell’ansia pronta ad aggredirci, potremo in un attimo e ovunque entrare nella fase (3.4).

Non dobbiamo mollare, imparare a gestire questa fase è molto difficile. Deve essere ripetuta continuamente nei giorni fino a che uno non si rende conto che davanti ad un evento da affrontare in maniera autonoma in un attimo raggiunge lo stato di concentrazione necessario, dipingendo in un attimo il suo obiettivo. Da quel momento ognuno di noi è il “campione di sé stesso”.

Ivano Nuti, Psicologo

La meravigliosa Curcuma Longa

La meravigliosa Curcuma Longa

Come avere un effetto antinfiammatorio con una semplice pianta

La meravigliosa Curcuma Longa

come puoi usarla nei tuoi problemi di tutti i giorni

di Ferruccio Balducci

Sono passati ormai più di 15 anni da quando per la prima volta si è sentito parlare della Curcuma e del suo impiego in terapia come rimedio naturale.
Certo si conosceva la spezia, si sapeva che era lo “Zafferano dell’India”, uno dei componenti del CURRY che si usa in cucina, e che era stata descritta addirittura da Marco Polo nel suo viaggio attraverso incredibile l’Oriente… ma oltre a questo, poco altro…
Se invece ora, in questo momento, a marzo del 2020 si prova a cercare su Google la parola Curcumin (l’insieme delle molecole più attive della radice di Curcuma), si rimane di stucco!

Hai provato?
Oltre 11 milioni di risultati

E se digiti la stessa parola (Curcumin) su PubMed, cioè la piattaforma che fa da raccoglitore delle principali riviste scientifiche mondiali? Oltre 14mila studi scientifici pubblicati!

Allora, cos’è successo in questi ultimi 15 anni, cioè dal momento in cui ne abbiamo sentito parlare la prima volta?
All’inizio i primi pionieri, studiosi di fama mondiale (il Prof. Aggarwal dell’Università di Houston, il Dr. Campbell dell’Università di Belfast e mettiamoci volentieri anche il Dr. Roberto Benelli, Urologo dell’Ospedale di Prato) hanno provato sui propri pazienti l’estratto di Curcuma e hanno visto risultati clinici reali, sui loro stessi pazienti.
Poi il mondo scientifico (e commerciale) si è buttato a capofitto nello studio dei princìpi attivi di questa favolosa pianta.

In effetti le sue applicazioni possono essere molte, così come molto buoni sono i risultati che si ottengono, quando usata in modo corretto, per provare a trattare anche malattie importanti, magari insieme a farmaci specifici:

  • artrite
  • diabete
  • gastrite e altri problemi allo stomaco
  • infiammazioni del colon-retto
  • dolori articolari in genere

Tutto questo lo testiamo anche in Farmacia, con pazienti che quasi tutti i giorni ci raccontano la loro esperienza, spesso molto positiva.
Ma la cosa più emozionante, come Farmacista esperto in Fitoterapia e preparatore di laboratorio, è sapere che ci sono scienziati di tutto il mondo che in questo momento stanno studiando gli effetti di tanti rimedi naturali fitoterapici. Su queste pubblicazioni scientifiche ci potremo poi basare in futuro per formulare prodotti naturali, in grado di aiutare le persone malate o prevenire vari disturbi, anche molto seri.

Sempre su PubMed ad oggi ci sono infatti:

  • più di 50 studi scientifici sulla relazione tra Curcumin, Gammopatie e Mieloma Multiplo
  • oltre 300 su Curcumin e Prostata
  • più di 400 su Curcumin e Carcinoma del Colon-Retto

Gli studi sono continui, sempre aggiornati, ma da confermare comunque nel lungo periodo e il nostro compito è quello di non fornire mai facili illusioni ai pazienti.

Esistono molte specie di Curcuma come pianta, più di 100. Quella di cui parliamo qui è la Curcuma longa.

Ma non è la polvere di radice che si trova al supermercato, quella che usiamo in laboratorio…quella del supermercato è la spezia alimentare, che si usa in cucina!
Quella che invece ha effetto terapeutico ed è oggetto di studio è l’estratto di grado farmaceutico di Curcuma longa.

In pratica sono cose diverse, perché contengono sostanze diverse e in quantità diverse.

Si deve sempre usare, a scopo terapeutico, una polvere di grado farmaceutico che contiene principi attivi concentrati, cioè un estratto secco titolato e standardizzato (altri termini tecnici, scusami) di Curcuma longa.

Se usi una semplice polvere da cucina, non hai azione farmacologica, non si tratta di un medicinale, può prevenire a lungo termine alcune malattie, ma non guarisce il malato, se sta male adesso!

Invece, nell’estratto il produttore ci dice quanti principi attivi ci sono effettivamente.

Facciamo un esempio per chiarire meglio.

Se in laboratorio si utilizza la semplice polvere di Curcuma da cucina che usiamo in cucina, come faccio a sapere quanti principi attivi fornisco al malato?

È corretto?

Se invece usiamo un estratto titolato e standardizzato, preso da un produttore qualificato, so perfettamente cosa assume il malato e so che la volta successiva gli fornirò lo stesso tipo di capsule, con lo stesso tipo di estratto, con la stessa qualità e quantità di principi attivi.

Perché, anche se la Curcuma longa ha pochissimi effetti collaterali conosciuti, è sempre un medicinale erboristico, un fitoterapico, quindi è indispensabile conoscere il dosaggio preciso da consigliare al paziente e quante volte al giorno la deve assumere (posologia, in termine tecnico).

Insomma, la Curcuma è una pianta davvero importante, ma ancora più importante è il tipo di Curcuma utilizzato.

Ferruccio Balducci, Farmacista

Coronavirus, evidenza scientifica e fake news

Coronavirus, evidenza scientifica e fake news

di Armando Sarti

In questi giorni siamo tutti bombardati, soprattutto tramite il web, da una mole consistente di notizie vere o presunte e aggiornamenti sui vari temi legati all’infezione del nuovo coronavirus, Covid-19. Fra le notizie ricorrenti si raccomanda l’assunzione di vitamina C ad alte dosi, l’aglio, l’acqua all’ozono, liquidi caldi, bere aceto… e così via, per rimanere immuni dall’infezione del virus.

Lasciamo da parte l’ipotesi “complottistica”, sostenuta indirettamente dalla diffusione del servizio del TGR del 2015, riguardo al rischio della diffusione di virus simili a quello che ha provocato la SARS, modificati dai ricercatori in Cina. Gli scienziati che conoscono a fondo queste metodiche di ricerca hanno chiarito che è molto facile, tramite l’esame delle sequenze del patrimonio genetico virale, distinguere un virus selvaggio, cioè evoluto spontaneamente nell’ambiente, da un virus ottenuto in laboratorio. Per quanto riguarda il Covid-19 gli studiosi concordano nel sostenere che questo virus ha un’origine naturale.

Molte delle raccomandazioni che si trovano in rete sono del tutto infondate e possono provocare comportamenti inopportuni, se non pericolosi.

La vitamina C è indispensabile per l’organismo umano, che non è capace di sintetizzarla e deve quindi assumerla con gli alimenti, anche per una valida risposta alle infezioni, ma c’è molta differenza nel mangiare frutta e verdura fresche, ricche della vitamina, rispetto all’assunzione di dosi eccessive da prendere come farmaco o integratore, per le quali non esiste alcuna prova di efficacia né preventiva né di cura per il nuovo coronavirus.

L’aglio ha tutta una serie di effetti favorevoli ben dimostrati per l’organismo, particolarmente per la circolazione del sangue e la regolazione della pressione arteriosa. In effetti presenta anche un’azione protettiva nei confronti di vari virus, ma non esiste al momento alcuna ricerca controllata che stabilisca l’efficacia per quanto riguarda il Covid-19. Certamente l’aglio in cucina migliora il gusto di tantissimi piatti e l’effetto indesiderato sull’alito, mangiandolo tutti insieme in famiglia, è meno probabile che disturbi gli altri, in questi tempi di segregazione casalinga.

Non risulta che le bevande calde abbiano azioni specifiche sul virus, ma un tè o una tisana risulta molto gradevole e confortante, sia per chi sta bene che per chi è affetto da raffreddore, mal di gola e tosse. Anche Il brodo caldo, sia vegetale che di pollo, è molto gradito nella stagione fredda e può avere un’azione antinfiammatoria secondo alcune ricerche.

È bene diffidare delle tante notizie fasulle che circolano ampiamente, attenersi alle fonti affidabili e controllate e consultare nel dubbio il proprio medico, per un’informazione corretta.

Quello che è sicuramente dimostrato è che uno stato nutrizionale favorevole e un’alimentazione equilibrata risultano importanti per fronteggiare le infezioni.
È noto che quasi la metà dei pazienti ricoverati negli ospedali presenta malnutrizione, per un apporto in difetto, o in eccesso, di nutrienti. Più spesso i pazienti sovrappeso sono malnutriti, a causa di un’alimentazione monotona, ricca di zucchero, sale e grassi industriali di cattiva qualità e povera di vegetali freschi e proteine ad alto valore biologico (pesce, cereali e legumi, frutta secca, uova), provocata dal consumo prevalente di prodotti trattati e conservati dell’industria multinazionale di alimenti.

L’obesità coesiste spesso con la malnutrizione e provoca uno stato di infiammazione cronica di tutto l’organismo che non può che peggiorare gli effetti infiammatori degli agenti infettivi, virus compresi. In effetti, il danno polmonare causato dal coronavirus attuale non dipende solo dall’aggressione virale, ma anche dalla violenta reazione immunitaria infiammatoria dell’organismo che finisce per danneggiare i vari organi.
Varie ricerche evidenziano l’importanza dell’apporto alimentare di vitamine, particolarmente la vitamina A, la vitamina C, la vitamina D, la vitamina E e tutte le vitamine del gruppo B, nella resistenza alle infezioni. Chi non ne assume in quantità sufficiente è più esposto all’aggressione dei microrganismi e presenta una risposta immunitaria meno efficace. Queste vitamine proteggono i tessuti dai danni causati dalle infezioni. Sull’importanza della vitamina D ho già scritto in questo blog. Un ruolo particolare sembra abbia la vitamina B3 (nota anche come vitamina PP), ben rappresentata nel pesce azzurro, nelle carni bianche, nelle arachidi e nei cerali integrali, per un effetto antinfiammatorio specifico nel polmone malato.
Fra gli altri fattori alimentari utili nella resistenza alle infezioni figurano lo zinco, il selenio e gli acidi grassi Omega3.
Lo zinco è presente soprattutto nelle vongole e cozze, nei semi oleosi, nei legumi, in vari vegetali, nelle carni e nel cacao. Il selenio si trova nei prodotti di origine animale, come il pesce, la carne e le uova, ma anche nei legumi, cereali integrali e nei funghi.

Il consumo di pesce azzurro risulta importante anche per l’apporto di acidi grassi Omega3, sostanze che l’organismo umano non è capace di sintetizzare dai precursori, soprattutto con l’età che avanza. Il pesce azzurro apporta quantità consistenti di Omega3 ed è pertanto consigliato un paio di volte alla settimana.
Un apporto di verdure, non meno di cinque porzioni al giorno, è consigliato da tutte le linee guida di nutrizione, anche per non far mancare le fibre alimentari, indispensabili per l’equilibrio della flora batterica intestinale, il microbiota. Sia le fibre insolubili dei cereali integrali e delle verdure, che quelle solubili, presenti soprattutto nella frutta, nell’avena e nei legumi, sono indispensabili per favorire la proliferazione intestinale dei germi protettivi, a scapito dei germi pericolosi per la salute.

I probiotici, tanto reclamizzati, possono rivelarsi utili se ben preparati, ma esercitano effetti transitori se non si provvede a fornire al microbiota protettivo, con l’alimentazione vegetale, le fibre nutritive necessarie per proliferare.

In definitiva un’alimentazione equilibrata e varia, ricca di frutta, verdure e ortaggi freschi, cereali integrali, legumi e pesce assicura l’assunzione di tutti i nutrienti necessari per stare in salute e aiuta certamente anche per far fronte ai rischi infettivi.

La pozione magica non esiste neanche per i coronavirus, ma molto si può ottenere in termini di resistenza all’infezione, o di rapida risoluzione senza aggravamenti, con uno stile di vita sano, che comprenda, oltre a un’adeguata alimentazione, anche l’esercizio fisico e una riduzione dello stress.

Per approfondire:

Armando Sarti, Medico