Io resto a casa ma...
la terapia anti COVID per l’edificio malato
FASE 4
di Egidio Raimondi
Lo slogan Io resto a casa ci offre l’occasione per chiederci quanto le nostre case siano vivibili e, perché no, sicure, visto che trascorriamo tra l’80 e il 90% della nostra vita in ambienti chiusi.
Queste pillole hanno l’intento di aiutare a valutare la qualità ambientale degli spazi in cui viviamo e migliorarli con piccole semplici azioni. Una piccola cura per ridurre alcuni dei sintomi dell’edificio malato che potrebbe richiedere terapie più importanti, radicali e impegnative, diciamo chirurgiche!
È ormai risaputo che l’acqua potabile è diventata una delle risorse più preziose nel mondo, perché la sua disponibilità sta diminuendo sempre più.
In questi giorni di pandemia poi, ci stiamo lavando le mani con frequenza e cura, seguendo le indicazioni degli esperti e allora forse è il caso di fare qualche riflessione.
Per preservare la risorsa acqua occorre agire su almeno tre piani, che affronteremo in tre pillole in sequenza: la riduzione dei consumi negli usi finali, il recupero delle acque meteoriche, il trattamento delle acque di scarico.
Per ridurre i consumi negli usi finali occorrono dei dispositivi tecnici e delle buone pratiche basate su profonde sensibilità socio-culturali.

I dispositivi che possono essere utilizzati sono i riduttori di flusso da applicare alle uscite dei rubinetti di casa, ufficio ecc… Ormai largamente disponibili in commercio per i rubinetti esistenti e già a bordo nei rubinetti di nuova produzione, almeno su quelli di buon livello qualitativo, non fanno altro che rompere il getto d’acqua, in modo da avere nella stessa sezione una quantità di aria. In pratica, a parità di sezione e di portata, si ha una parte di aria e una di acqua, con riduzioni intorno al 30% del consumo totale.
Alla fine dell’anno, se installati su tutti i rubinetti, si tratta di numerosi metri cubi in meno che, visti i costi applicati dalle aziende fornitrici, si traducono in un bel risparmio in fattura.
Le buone pratiche sono alla portata di tutti e consistono sostanzialmente nel tenere aperto il rubinetto solo quando necessario, chiudendolo quando non serve.
A mero titolo di esempio, basti pensare a quando ci laviamo i denti, ci insaponiamo sotto la doccia, ci radiamo… ma anche quando laviamo a mano le stoviglie, o le verdure, o nella pulizia degli ambienti.
Tipico è il caso in cui in attesa che arrivi l’acqua calda, si lascia scorrere quella fredda che è nella tubazione, dalla caldaia al rubinetto. In quel caso una buona pratica è raccoglierla in un secchio per poi utilizzarla per le pulizie o come scarico nel wc.
Pur sembrando cosa facile vi assicuro che non lo è, e distrattamente si tende a lasciar scorrere l’acqua indifferentemente durante le operazioni a cui accennavo, retaggio di una conquista tutto sommato recente, nel secolo scorso: l’acqua corrente nelle case!
Ovviamente, meno acqua si spreca e meno ne finisce negli scarichi, dove poi va depurata e smaltita, con operazioni che comunque hanno costi, diretti e indiretti. Ma questo lo vedremo nella prossima pillola.
Nella pillola precedente abbiamo parlato dell’importanza della riduzione degli sprechi di acqua potabile negli usi finali. Qui parliamo della raccolta delle acque meteoriche e del loro possibile utilizzo.
Innanzitutto va detto che occorre un impianto ben dimensionato per la situazione specifica perché bisogna fare attenzione a una serie di fattori determinanti.
I primi litri di acqua piovana, la cosiddetta acqua di prima pioggia, vanno eliminati dato che contengono lo sporco delle superfici da cui sono stati raccolti (tetti, terrazzi, cortili, ecc…)
È preferibile raccogliere le acque da superfici in quota, evitando piazzali e aree carrabili, per l’evidente possibilità che nelle acque finiscano olii, idrocarburi, polveri di pneumatici e altri inquinanti.

Un impianto ben progettato prevede un filtro che trattiene materiali e scorie di media dimensione, come fogliame, cartacce o altro che il vento potrebbe aver portato sulle nostre superfici di raccolta.
A seconda dello spazio a disposizione e della quantità di acqua che stagionalmente si calcola di raccogliere, si dimensionerà la cisterna di accumulo, generalmente interrata, da cui poi, con una pompa, si preleverà l’acqua per vari usi che vedremo tra un attimo.
La cisterna dovrà essere dotata di un dispositivo di troppo pieno, per smaltire in fognatura l’eventuale acqua in eccesso, tipica situazione in epoca di bombe d’acqua, sempre più frequenti in epoca di cambiamenti climatici. A seconda dello schema idraulico, la cisterna potrà avere anche un dispositivo di troppo vuoto, che ne consentirà un parziale riempimento dall’acquedotto, in attesa di nuove piogge.
Il dimensionamento dell’impianto dovrà tener conto dell’equilibrio tra costi e benefici e soprattutto del fatto che l’acqua serve maggiormente in estate e le piogge sono concentrate in autunno e inverno.
Gli usi possibili per impiegare l’acqua meteorica raccolta sono tutti quelli non potabili come, ad esempio:
- l’irrigazione di aree verdi, anche con impianto automatico
- la pulizia degli ambienti interni e delle aree esterne
- lo scarico dei WC attraverso una rete duale
- il lavaggio di automezzi privati o di servizio in caso delle aziende
ogni altro uso per cui è vietato usare l’acqua prelevata dall’acquedotto o comunque oneroso e non sostenibile per l’ambiente.
Tutta l’acqua che viene utilizzata in un edificio finisce in uno scarico che la convoglia in un primo impianto di trattamento locale, e poi, attraverso la rete fognaria allo smaltimento comunale.
Il trattamento locale delle acque di scarico avviene innanzitutto separando quelle dei WC (acque nere) da quelle dei lavabi e lavandini (acque chiare) e dalle meteoriche. Questo perché così si riduce la quantità di acqua da sottoporre a trattamento “pesante”, riservando questo alle sole acque nere.
Il trattamento avviene nella fossa biologica, individuale o condominiale che separa i residui solidi trattenendoli e convoglia in fognatura i residui liquidi depurati.

È obbligo di legge installare un pozzetto degrassatore che intercetti le acque chiare trattenendo i residui saponosi in modo che questi non vadano in fognatura.
Per migliorare ulteriormente il trattamento delle acque di scarico, con vantaggi ambientali ed economici, è possibile separare ulteriormente le acque di lavatrice e lavapiatti da quelle dei lavandini, docce, bidet e lavelli, solitamente con contenuto inferiore di saponi creando così l’ulteriore categoria delle acque grigie.
Inutile dire che l’utilizzo di saponi privi di tensioattivi o componenti chimici aggressivi, così come la riduzione in genere dell’uso di detergenti, migliora le prestazioni di tutto l’impianto, riduce gli interventi di vuotatura e immette in fognatura acque meno inquinate.
Ovviamente non sempre esiste lo spazio e la morfologia strutturale dell’edificio per separare al meglio le acque, con tutte le tubazioni e i pozzetti che necessitano ma, caso per caso, possono essere studiate soluzioni specifiche.
Tra le soluzioni, ideali prevalentemente in aree extraurbane prive di rete fognaria, c’è la fitodepurazione, a cui dedicheremo una pillola specifica nei prossimi giorni.
Si tratta di un sistema di trattamento delle acque di scarico che utilizza il fenomeno della digestione anaerobica delle piante per depurare e ottenere acqua con un contenuto di batteri sotto le soglie fissate dalla normativa, da poter riutilizzare o smaltire in ambiente.
Lo schema generale consiste in una rete di tubazioni forate che consente alle acque di attraversare un letto di ghiaia e inerti di varia granulometria, in vasche opportunamente dimensionate e isolate dal terreno mediante teli in polietilene, in cui vengono messe a dimora piante che prendono dalle acque i nutrienti per i loro processi vegetativi.
Tutto avviene sotto vari strati di ghiaia e pietrisco, il sistema si definisce infatti come sub-irrigazione, e non vi sono odori sgradevoli o ristagni d’acqua superficiale.

Fondamentalmente esistono due tipologie:
- la sub-irrigazione orizzontale, in cui i tubi scorrono orizzontali, con la giusta pendenza
- la sub-irrigazione verticale, in cui i tubi vengono disposti in verticale, secondo uno schema a maglia ortogonale
La prima richiede tempi più brevi per i processi di depurazione ma ha maggiorie ingombro sul terreno. La seconda occupa circa il 40% di spazio in meno ed è quindi più adatta quando si ha meno disponibilità di terreno.
In etrambi i casi, al termine dal processo può esserci un pozzetto di raccolta con una pompa per prelevare l’acqua in genere utilizzabile per irrigazione di aree alberate (anche frutteti) o, in alternativa, uno scarico verso un recettore naturale, come un fosso, ad esempio.
Devono sempre essere previsti dei pozzetti di prelievo delle acque, per i campioni da sottoporre ad analisi periodiche della carica batterica.
Conclusioni
Al termine di questa serie di pillole, che possono essere approfondite singolarmente, mi sento di fare un accorato invito a riflettere sulla qualità degli spazi in cui viviamo, per interrogarsi in merito al loro impatto sull’ambiente e sulla nostra salute, considerando che ormai dovremo convivere con i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse, gli eventi estremi e i virus pandemici.
La resilienza e d’obbligo!