La Pandemia
Ripartenza e speranza
di Armando Sarti
Da settimane reclusi a casa. Fra internet e ricette di cucina, telefono, WhatsApp e televisione per gli aggiornamenti dei contagi (come sarà andata oggi?), con qualche felice e prolungata sosta in terrazza. Siamo rimasti ordinatamente in fila nei pressi dei supermercati, con l’atteggiamento serio e compassato di chi è consapevole. Due chili in più, per i piaceri compensatori della tavola e la sedentarietà, nonostante qualche esercizio di ginnastica davanti al PC o alla TV. Qualche cane, da tempo abituato alla casa, che non scodinzola alla vista del guinzaglio, annoiato per le troppe richieste di passeggiatina da parte del padrone.
E ora? Si riparte con molta speranza, idee un po’ confuse. Per altri il dramma. Per chi non riesce a intravedere un futuro, per chi sta perdendo il lavoro o per chi non sa cosa fare per i propri dipendenti. Per tutti un po’ di paura, per la possibile nuova impennata dei contagi.
Comunque avanti con la ripresa, ma molte cose non saranno più come prima, almeno per parecchi mesi.
In questi due mesi molte considerazioni, varie sensazioni e riflessioni maturate sul divano, con tanto tempo a disposizione. Fra le tante, la domanda secondo me più importante: che cosa è successo? E soprattutto, qualcosa cambierà?
Che cosa è successo e cosa è cambiato?
Secondo me è cambiata soprattutto la nostra assurda sensazione di onnipotenza. Il ridimensionamento e l’accettazione della nostra fragilità. Un mondo “virato”. Abbiamo dato troppo per scontato. Ci siamo ritrovati improvvisamente piccoli, impauriti e perplessi di fronte a un minuscolo virus, trasmesso da animali selvaggi senza più patria, che ci ha messo in ginocchio. Ha causato tante morti, spesso senza neanche poter confortare i nostri cari, ha fatto traballare tragicamente i nostri sistemi sanitari e ha messo in crisi, di colpo, la globalizzazione e le economie dell’intero pianeta. Tanto dolore, per chi ha perso una persona cara e per chi è morto nell’inevitabile confusione di un letto d’ospedale o rimanendo a casa propria.
Ma anche una quantità sconcertante di esseri umani che si ritrova improvvisamente senza un lavoro e senza una prospettiva di vita accettabile.
Per i più fortunati un riposo forzato e casalingo nel corso di questa primavera piena di sole, come non si vedeva da anni. Uno stacco brutale dalle proprie abitudini, dall’affetto dei propri cari, dalle passeggiate all’aria aperta, dai contatti sociali e culturali, dagli aperitivi e le cene in pizzeria o al ristorante, dalle giornate passate nei centri commerciali. Niente palestra e sauna. Sfollati in casa. Fra presunti complotti, bollettini quotidiani, notizie continue, opinioni di ogni tipo e fake news, ne abbiamo sentite di tutti i colori.
Bisogna dire che nell’insieme gli Italiani sono stati all’altezza. Non è mancato il rispetto per le tante limitazioni, forse proprio perché lo “tsunami” mediatico ci ha fatto sentire uniti da un destino comune, che in parte dipendeva proprio dal nostro comportamento. Reclusi, ma anche un po’protagonisti.
Questo virus ci ha forzato a pensare e ripensare. Ci ha obbligato a rivedere l’ordine delle priorità, cosa conta davvero, le proprie risorse interiori, ci ha messo un po’ a nudo e ha quindi rappresentato anche un vero e proprio test su noi stessi con la macchina della verità.
Dentro di noi, anche senza essere catastrofisti, è impossibile non avvertire che il virus sia stato in qualche modo un grido d’allarme, come una ribellione verso gli umani. Abbiamo maledetto la Terra. Percepiamo una sorta di reazione della natura, costantemente attaccata da comportamenti lontani dal senso più profondo della vita su questo pianeta. Tra cinico egoismo, corruzione diffusa, deforestazione, inquinamento delle menti e dell’ambiente, stili di vita assurdi e deleteri, un’economia basata sul profitto di pochi a danno di molti e sfruttamento delle risorse, sempre più limitate, del pianeta. Come se non esistesse un futuro, come se non avessimo il dovere di consegnare ai nostri figli un mondo ancora vivibile.
C’è stato imposto uno stop alla frenesia, alla bramosia del superfluo, ai troppi viaggi fatti per non fermarci a pensare, allo stress che contraddistingue le nostre giornate con la necessità, spesso indotta, di avere e fare sempre di più.
Molti scienziati, forti di dati inoppugnabili, mettono in stretta correlazione l’inquinamento, la cattiva alimentazione, il riscaldamento globale, il cambiamento climatico e la devastazione dell’ambiente con l’insorgenza e la diffusione di nuove epidemie, soprattutto di virus, per i quali spesso non abbiamo armi di difesa efficaci.
La biodiversità è pesantemente ridotta e sappiamo che la varietà è salute per la natura. Gli animali selvatici non hanno più spazio per vivere, abbiamo stravolto il loro habitat e lo riduciamo sempre di più per coltivare soia e mais, mentre quelli allevati in modo forzato con l’agricoltura chimica sono in pessime condizioni di salute, creando così le condizioni favorevoli perché la fauna diventi veicolo della trasmissione di virus, che altrimenti non attaccherebbero facilmente gli umani.
Inoltre, le precarie condizioni di salute di tanta parte della popolazione, prevenibili in buona parte con una sana alimentazione e con stili di vita adeguati, risultano cruciali per la diffusione delle epidemie e spesso si associano al pesante inquinamento atmosferico delle nostre metropoli, che facilita con i veleni nell’aria e le polveri sottili le infezioni respiratorie e gli esiti più gravi delle malattie diffusibili.
Il rischio del diffondersi di gravi epidemie, ancora più concreto nel mondo attuale globalizzato, era stato peraltro previsto da tempo. Dopo i focolai di epidemia dal virus della SARS molti scienziati avevano evidenziato con dati alla mano quanto il rischio di ulteriori epidemie, in particolare di coronavirus, fosse concreto e come avremmo dovuto prepararci per fronteggiare la diffusione planetaria di infezioni virali.
Nel 2014 l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, partendo dai dati relativi alle epidemie del virus influenzale H1N1 e delle aree africane colpite dal virus Ebola, aveva chiarito perché servivano più fondi per la Sanità, “…per prepararsi di fronte al rischio di una malattia trasmissibile per via aerea che si rivelerà anche mortale…” Osservando come sono andate le cose, l’ammonimento, profetico possiamo dire oggi, rivolto non solo agli USA, ma al mondo intero, non sembra proprio che sia stato recepito.
Solo i sistemi sanitari nazionali, che hanno il benessere di tutti e non il profitto di pochi come stella polare, possono garantire quell’insieme di interventi di prevenzione e cura in rete, anche e soprattutto a livello territoriale oltre che ospedaliero, necessari per fronteggiare le crisi sanitarie. Sono da sostenere e rafforzare, certamente da migliorare, ma non certo da ridimensionare.
Ci voleva questo virus per capirlo? Era proprio necessario il virus per fermarci e riflettere?
Che cosa cambierà?
Di sicuro dovremo abituarci alle code e alle mascherine, almeno per un po’ di tempo. Scordiamoci anche, per ora, di poter andare tranquillamente a teatro o al cinema o in uno stadio per un concerto di musica o un avvenimento sportivo.
Si spera che le politiche messe in atto per sostenere l’economia del nostro paese possano sostenere, per il tempo necessario, quelle attività produttive e sociali, come quelle culturali, il turismo e la ristorazione, che senza un aiuto concreto potrebbero non riprendersi mai più, con la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Si vedrà anche se l’Europa saprà rilanciarsi, superando egoismi di corto respiro, per far fronte alle ripercussioni economiche e sociali nel vecchio continente.
Cosa dovrebbe o potrà cambiare è in realtà più una speranza che una certezza.
Si parla di ritorno progressivo alla normalità. Sì, ma quale normalità? Vogliamo mettere a fuoco un modo diverso di concepire il nostro normale stile di vita?
Ad ogni livello, istituzionale, sociale, politico e personale non possiamo perdere l’occasione per una profonda revisione del nostro modo di vivere e di lavorare.
L’atmosfera più pulita ci permette oggi di vedere il pianeta, dall’alto dei satelliti, più nitido e a fuoco, come non lo si vedeva da decenni. Dovremmo prenderlo come un incoraggiamento e, con la rinnovata acuità visiva, reagire con uno scatto di dignità. C’è bisogno dell’impegno di tutti, ad ogni livello e in ogni modo.
Lasciamoci dietro tanti aspetti della normalità di prima. Lasciamoci dietro il consumismo inutile, l’eccesso di spostamenti non necessari, sostituiamo il più possibile l’automobile con la bicicletta, riscopriamo il piacere di camminare, mettiamo in atto una rivoluzione del nostro modo di alimentarci, riducendo drasticamente il consumo di alimenti industriali nocivi, carne e prodotti animali, poco sostenibili per il futuro del mondo, a favore dei vegetali, cereali, legumi, verdure, ortaggi e pesca sostenibile. Con una forte riduzione dell’allevamento animale forzato, a base di soia e mais, potremmo avere cibo disponibile per tutti nel mondo. Mangiamo di meno, ma in modo più salutare. Riassaporiamo il gusto vero della vita.
Evitiamo accuratamente ogni spreco.
Con il nostro comportamento, individuale e condiviso, se associato a politiche ecologiche da parte delle istituzioni nazionali e internazionali, possiamo davvero invertire la tendenza verso il punto di non ritorno. La nostra Terra non può più essere una mucca da mungere sempre più, nell’interesse di pochi, fino allo sfinimento. Bisogna imparare ad accontentarsi di quello che è davvero indispensabile per il benessere proprio e di tutti.
Il potere della nostra bocca è enorme, se scegliamo in tanti cosa metterci dentro. Come grande è la nostra potenziale capacità di riorientare l’economia con acquisti oculati, a tutto vantaggio dell’impresa etica e sana, ridimensionando nel tempo il potere brutale e cinico delle multinazionali che hanno il profitto come unico faro, a scapito del benessere di tutti. Un rallentamento controllato dell’economia dei prodotti interni lordi, a favore di un’economia sostenibile, quella del benessere, della giustizia sociale e della felicità degli esseri umani.
Nessuno pensa a una rinuncia alla tecnologia, soprattutto a quella davvero utile per l’umanità. Non certo un ritorno allo “stato di natura” di Rousseau, il mito del buon selvaggio, ma una progressiva ripresa dei valori che in questo mondo sono alla base di una vita il più possibile in armonia, che tenga conto del bene e delle esigenze di tutti e non della convenienza miope di pochi. Una spirale favorevole di etica, personale e sociale, che riduca le ingiustizie, l’elemento essenziale alla base delle oppressioni, delle migrazioni e dei conflitti.
Una profonda riflessione e riorganizzazione a livello individuale, sociale e istituzionale.
Portiamo a casa qualcosa di buono da questa esperienza, ancora in corso, che ha dato una scossa alle nostre vite. In questo senso questa ripartenza dopo la pandemia può rivelarsi un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. Un Neo-Umanesimo che riporti al centro la bellezza, l’arte e l’elemento spirituale della vita, il bene e l’amore per sé stessi e per il prossimo.
Oppure non cambiamo niente, stiamo seduti e aspettiamo tranquilli il prossimo virus.