Un mare di guai

Riflessioni su Seaspiracy, ultimo documentario di Netflix

di Egidio Raimondi

Viene presentato come un documentario sulla pesca ma riguarda l’intero ecosistema marino che, come tutti gli altri ecosistemi su questo pianeta, è in pericolo. Ancora una volta dobbiamo ammettere che la specie umana non conosce i concetti di equilibrio, di armonia, di efficienza, di sistema…

I sapiens, autodefinitisi così in modo egoista e presuntuoso, continuano da secoli a depredare le risorse finite di un pianeta finito, esaurendo le disponibilità annuali in meno della metà del tempo.

Anche quest’anno l’overshot day, il giorno in cui sono state consumate tutte le risorse che avrebbero dovuto essere consumate nell’intero anno, è arrivato a maggio! e ogni anno lo anticipiamo di qualche giorno…

Seaspiracy parte dalla pesca nelle sue forme più indiscriminate e aberranti per snocciolare una serie di numeri e dati, accompagnati da immagini strazianti e da interviste ai protagonisti del settore, per dimostrare quanto sia diventata insostenibile una delle pratiche vecchie quanto l’uomo, a causa dell’adozione del modello industriale e rapace per raggiungere profitti sempre maggiori.

“Un film gia visto” è il caso di dire, in cui si ritrovano atteggiamenti, mentalità, abitudini, indifferenze varie che ormai dominano la stragrande maggioranza del nostro pianeta. 

Tutto dominato dalle logiche di brevissimo periodo e nella completa assenza di visioni di ampio respiro e di lungo termine. Un qui e ora noncurante di chi ci seguirà tra qualche decennio, dimenticando che saranno i nostri figli e nipoti.

Dalla pesca che riduce la biodiversità all’inquinamento dei mari il passo è breve, fenomeni spesso legati e interconnessi.

Le microplastiche ormai sono dovunque, anche nel pesce che finisce sulla nostra tavola e quindi nel nostro corpo.

Le critiche, anche feroci, del mainstream non si sono fatte attendere concentrandosi sui dati forniti dagli autori, accusati di non averli verificati a sufficienza e di aver diffuso informazioni distorte o addirittura false.

Per me questa è la conferma del fatto che il lavoro ha raggiunto l’obiettivo: scuotere un sistema dannoso, che segue un modello sbagliato e mette a rischio la sopravvivenza degli oceani e della stessa specie umana..

Un sistema che teme l’attivismo indipendente, coraggioso ed efficace che cresce sempre di più ed è difficile da contenere con le logiche di sempre, fin qui risultate efficaci e che da qualche anno paiono scricchiolare, anche grazie alla pervasività della rete web

Oggi funziona sempre meno dipingere come estremisti pericolosi e anacronistici romantici i membri di organizzazioni come Greenpeace, Seashepherd, presente nel documentario, e altre realtà dell’attivismo ambientalista che sanno bene di dover accelerare la loro azione perchè non c’è più tempo!

La prima reazione alla visione del film è di pancia! si pensa subito di smettere di nutrirsi di pesce (e di microplastiche) come quando si vedono le immagini degli allevamenti intensivi e si pensa di diventare vegetariani.

Poi, come sempre accade, l’effetto si diluisce e viene sovrastato dai carichi della vita quotidiana e si ritorna alle solite abitudini. E allora serve un nuovo documentario come questo, o come Antropocene o The social dilemma che non ci ha certo fatto buttar via i telefoni cellulari!

Non sto dicendo che non servano lavori come quelli citati, anzi, sono degli scossoni, dei pugni nello stomaco che raggiungono il cuore delle persone. Ma non basta. Occorre mantenere viva l’attenzione tra un film e l’altro, tenere vivo il dibattito nel quotidiano perchè solo così si possono tradurre le emozioni in azioni concrete, nel quotidiano.

Solo l’azione costante di tutti noi può dare seguito e voce, diffusa e continua, agli urli rappresentati da lavori artistici e di inchiesta come Seaspiracy che rimangono fonte di ispirazione per le buone pratiche e scelte sui territori.

Ed è per  questo che come Fondazione Est Ovest non perdiamo occasione di riprendere i temi e reiterare i contenuti e gli stimoli tra le persone, raggiungendone il maggior numero possibile, invitandole a guardare il docufilm e condividere commenti, idee, proposte operative per arginare la deriva e riprendere il timone delle nostre barche, per una navigazione ancora lunga, sicura piacevole e che abbia un senso.

Egidio Raimondi, Socio