La narrazione corrente, assordante e dominante, sull’alimentazione ci racconta di sostanze, di merci e fantasmagorici confezionamenti, di sorridenti manichini presi a prestito dal patinato mondo del cinematografo, mentre dietro le quinte il Mangiafuoco Agroalimentare dispiega i suoi potenti allevamenti e monocolture intensive, i suoi invisibili eserciti chiamati a dissodare ambiente e salute, a ferire la nostra comune crosta terrestre che non riesce più a rimarginare.
La frenesia del produrre e del consumare ha tolto perfino lo spazio ed il tempo per mangiare, per celebrare quel gesto antico, sacro e comunitario di riunirci e ritrovarci attorno ad una tavola imbandita.
Le piante selvatiche o inselvatichite dall’incuria e dal disprezzo dell’uomo sono lì a ricordarci non uno sterile romantico rimpianto per un trascorso passato ma a suggerirci una nostalgia di futuro possibile, sostenibile, sulle tracce di quello che siamo stati e che abbiamo smesso colpevolmente di essere.
La ricerca, prima di essere una carriera accademica, è un atteggiamento umano che fa crescere e maturare le coscienze, aguzzare l’istinto di sopravvivenza, ricercando le piante utili e buone nell’ambiente che ci circonda, ci restituisce una memoria primordiale, una diversa luce sul mondo che ci circonda, una rinnovata confidenza biologica con la natura sulla terra.